domenica 24 maggio 2015

e poi cè la tempesta, fulmini e groppi da attraversare...o tornare indietro

E poi, in oceano capita che ci può essere mal tempo... La linea dell'orizzonte ieri notte era tutta lampi. Sembrava un bombardamento spaventoso. Ed era di fronte a noi, tra nuvole nere come la pece, inaggirabile, ad una distanza forse di 10 miglia, si poteva solo tornare indietro alle Galapagos. Oppure affrontarlo. Ancora avevamo le stelle sopra di noi, e vento moderato da gran lasco. Non sentivamo ancora neanche un tuono. Ma che sarebbe successo ad entrarci dentro? C'erano 4-5 centri di attività principali, forse con un po' di fortuna ci si poteva passare in mezzo. Ci saremmo arrivati in un paio d'ore o giù di lì. Amici miei che erano stati colpiti da fulmini avevano avuto elettronica bruciata, impianti elettrici fuori uso e via discorrendo. Intanto abbiamo rollato il genoa e rallentato ad osservare l'evoluzione e riflettere sul da farsi. I centri d'attività si spostavano lentamente verso sinistra, troppo lentamente. Dopo un po' ci siamo fatti coraggio, abbiamo ripreso velocità e ci siamo diretti lì nel mezzo, provando a calcolare di infilarci tra due di questi. Man mano che ci avvicinavamo, la cosa sembrava possibile, ne abbiamo evitato uno, quello dopo sembrava abbastanza lontano, alla nostra destra. Ci siamo detti: se riusciamo a passare sotto quella coda nera di nuvole forse c'è la facciamo, si vedono di nuovo le stelle, dietro. Ma più ci avvicinavamo e più questa coda nera si ingrandiva e si fondeva con l'ammasso incandescente di nuvole che lo seguiva. A un certo punto i lampi erano così ravvicinati, ed erano ormai sopra di noi, che era luce quasi di continuo, un'atmosfera agghiacciante e surreale. Intanto da tempo avevamo prudentemente ridotto la randa con due mani di terzaroli e rollato metà del fiocco. Viaggiavamo bene, speravamo di esserne fuori presto, anche se l'obiettivo e le stelle dall'altra parte sembravano allontanarsi invece che avvicinarsi.. A un certo punto le nuvole sopra di noi, quelle oltre le quali forse c'era la fine di questo gioco di fuoco, erano così nere e grosse, che ci sembrava di stare passando sotto la campata di un ponte, sotto un tetto di cemento. Istintivamente abbassavamo la testa per non sbatterla. Invece la sorpresa dell'oceano era proprio lì sotto: un groppo improvviso ci piomba addosso, la barca parte a gran velocità, grido a Sam che era al timone di tenere la rotta e di poggiare un po', mi precipito sul rollafiocco e smanetto sul winch, lo tiro dentro a fatica. Poi gli passo la drizza della randa e corro all'albero a tirarla giù, per fortuna scende libera, un cursore dopo l'altro, una gran fatica ma senza intoppi, in un fracasso violento di sbattere di tela. Quando siamo senza vele ci ritroviamo in pozzetto ansimanti ma sollevati, mentre il groppo continua, sicuramente sono più di 50 nodi, spruzzi vaporizzati sopra e intorno, ma ormai non c'è più nessun pericolo. C'è chi ha disalberato per aver ritardato troppo manovre come queste, in simili situazioni. O distrutto vele e attrezzatura. Ci guardiamo negli occhi, la luce certo non manca, batti 5 Sam! Con te potremmo andare ovunque! PS: il resto della notte passa tranquilla, rimettiamo vela a poco a poco. Però il pilota non funziona più, ci tocca stare al timone tutto il tempo. Anche il giorno dopo e questa ultima notte passano tranquille, anche se il sonno comincia a farsi sentire. Sam a un certo punto si è addormentato qualche secondo pure in piedi! Una vera battaglia. Sono le 10 della mattina dopo, diamo motore senza più vento, la costa è a 70 miglia ormai e c'è un magnifico sole, praticamente siamo arrivati...

giovedì 21 maggio 2015

Navigare di notte, tra bonacce e fulmini:meno male che c'è Sam

Come si fa a raccontare l'Oceano? Già, perché ogni medaglia ha il suo rovescio... L'Oceano in questa traversata di 1000 miglia dalle Galapagos al Mexico è soprattutto poca aria e tanta variabilità, e quindi tanto lavoro su Bulbo Matto, che deve cavarsela per lo più con le sue generose vele, non avendo abbastanza carburante per farne più di tante a motore. E tanto caldo di giorno, e di pomeriggio e di notte spesso rovesci di pioggia come cascate, tuoni e fulmini parecchio inquietanti, groppi di vento da 30 nodi che magari durano mezz'ora e poi magari calma piatta per ore: una bella scuola di vela nei dintorni dell'equatore! E allora scruta le nuvole, studia il meteo, vedi se riesci ad evitare un nuvolone nero come la pece, fai camminare la barca anche se ci sono neanche 6 nodi di vento, metti il gennaker, leva il gennaker e vai di genoa, metti terzaroli, leva terzaroli, metti la cerata, chiudi tutti gli oblò, poi apri tutti gli oblò e metti tutto ad asciugare. E poi cucina, pulisci, fatti la barba, aggiusta qualcosa, verifica qualcos'altro, manda una mail col satellitare. Insomma il lavoro non ci manca proprio! Almeno non ci sono onde ed il mare è liscio come il Mediterraneo d'estate! E poi bisogna dormire! Già, perché siamo solo in due, io e Sam, e ci tocca dormire due ore sì e due no, tutte le notti e anche di giorno, appena ti si chiudono gli occhi... Meno male che Sam è un grande, uno che ha fatto un giro del mondo in regata, uno che quando esci mezzo stravolto alle 3 di notte per il tuo turno di guardia, quando gli chiedi come va, con la barca forse un po' troppo invelata ed ingavonata che fila a 7 nodi nella notte più buia che puoi immaginare, con la pioggia che minaccia ad i fulmini che scoppiano accecanti poco lontano, con tono felice è capace di dirti: "How does it go? Lovely!"... Solo un inglese purosangue può uscirsene con una tale espressione in un momento così e a quest'ora! Comunque sia, oggi, all'inizio del quinto giorno, siamo circa a metà strada, avendo consumato finora poco più di 100 litri di gasolio dei 400 che abbiamo a bordo. Una media di 5 nodi, 120 miglia al giorno, non male, date le condizioni. Il vento è appena una brezza di 5-8 nodi, ma noi scivoliamo verso nord, sulla nostra rotta, a 3-5 di velocità. Meno male che da quando siamo partiti abbiamo avuto sempre una robusta corrente a favore!

domenica 17 maggio 2015

Mai avuta una foca in cabina, che si fa per invitarla ad uscire?

Come si comunica con un pinnipede? Insomma, si può riuscire a farsi capire da un animale per noi non comune come una foca?.. Beh, il problema da queste parti, cioè alle Galapagos, esiste, eccome! In qualche modo siamo abituati, ce la caviamo, a farci capire da un gatto, un cane, un cavallo, anche da un coniglio domestico, perfino c'è chi condivide segni ed emozioni con un canarino, con un pappagallo, ma con una foca? Come si fa? Nessuno ce l'ha mai detto.. A se questa foca pensa che la plancetta della tua barca è perfetta per i suoi sonnellini e anche per i suoi bisognini? Come faremo a farle capire che quella è casa tua? Il problema è già serio così, dato che questi simpatici mammiferi una volta sistematisi lì sopra non sono mica tanto d'accordo a sloggiare, e se ci riesci tornano un minuto dopo che te ne sei andato. Ma diventa ancora più serio quando vengono in pozzetto e scelgono di sistemarsi sui tuoi cuscini bianchi. Ed è una cosa terribilmente seria se, come è capitato a noi, cerchi di farla tornare a mare ma sbaglia strada e scende sottocoperta, e comincia a girare le cabine, e sale a provare le cuccette.. Allora, come avreste provato, voi, a farvi capire in una simile circostanza? A suoni? A parole? A gesti? Beh, la nostra graziosa amica, dopo aver girato un pò tra le nostre cose, praticamente insensibile alle nostre esortazioni (le minacce erano decisamente fuori luogo, il potere era tutto nelle sue... pinne, impossibile fermarla, prenderla, neanche toccarla...), salita sulla cucina, allungava il collo verso l'uscita, finalmente, guardava, intuiva evidentemente che quella doveva essere l'unica strada giusta, ma non si decideva, e noi a pregarla, supplicarla, in italiano, inglese, spagnolo, indicando quella solo uscita possibile, battendo sui gradini con il dito, speranzosi che infine in qualche modo capisse... Beh, evidentemente la nostra era abbastanza intelligente, per nostra fortuna, dopo un pò è scesa dai lavelli, poi ha fatto i cinque gradini della scaletta ed infine, con grande nostro indicibile sollievo, è uscita senza neanche salutare e si è buttata in acqua in uno dei suoi tuffi silenziosi e senza uno spruzzo. Sospiro di sollievo. Conclusione: non abbiamo capito nulla del loro linguaggio, ma abbiamo imparato che sono animali pigri sì, ma non certo stupidi, e che soprattutto avremmo fatto meglio da quel momento a chiudere la barca quando scendevamo a terra, e a non fidarci del senso di territorio che tutti gli animali di solito hanno...

venerdì 15 maggio 2015

In Viaggio tra vulcani e fattorie alla scoperta dell' Ecuador

Un Paese grande un pò meno dell'Italia, con 15 milioni di abitanti e una grande voglia di sviluppo e di benessere che nel turismo sopratutto naturalistico e della conservazione vuole il posto che merita, potendo vantare una varietà e diversità ambientale unica al mondo, spaziando in poche centinaia di Km dalla foresta pluviale costiera alla foresta nublata delle prime pendici alla Sierra Andina, con una serie impressionante di vulcani da 6000m, alle infinite piane amazzoniche. Diversità attestata anche a livello scientifico dal numero delle specie di uccelli presenti: 1.600 circa delle 10.000 esistenti, il doppio del Costarica. Turismo da poco orientato ufficialmente nella direzione della ecosostenibilità avendo adottando i criteri dell'autorevole "The International Ecotourism Society" a livello nazionale. Questo è l'Equador di oggi, nuove strade e aeroporti, buone comunicazioni, gente cordiale e corretta, grande coscienza ambientale in virtù dei tanti pionieri anche occidentali, ma non solo, che già da anni operano nel settore ecoturistico e naturalistico. In occasione della Ecotourism and Sustainable Tourism Conference tenutasi di recente a Quito ne abbiamo conosciuti alcuni tra i più entusiasti e motivati e ne abbiamo visitato le strutture, trovandole magnificamente ubicate, ben realizzate ed organizzate, perfette per il turista naturalista più esigente, amante del birdwatching o della fotografia naturalista, del trekking o del mountain bike, dell'horseback riding o dell'alpinismo. Ma prima ci siamo goduti una visita ai monumenti di Quito, sopratutto splendide chiese e monasteri coloniali del '500 e '600. E poi ci siamo immersi nel mercato indio di Otavalo, due ore di auto più a nord della Capitale, lungo la famosa Carretera Panamericana, che offre una varietà pressoché infinita di tappeti, tessuti, cappelli, gioielli, dipinti, e chi più ne ha.. Il nostro giro naturalistico dell'Equador comincia alle porte di Quito, a pochi minuti dal nuovo aeroporto internazionale, al Puembo Birding Garden, un B&B a semplice ma di stile frequentato da colibrì e uccelli che popolano la valle tra le due cordigliere principali. Il Neblina Forest, un'organizzazione con oltre 20 anni di attività che propone wildlife, photo Safari e birding tours sempre per piccoli gruppi non solo in Equador (Sierra, Amazzonia e Galapagos), ma anche in Perù, Paraguay, Bolivia, Colombia, Guatemala e Brasile, ha qui la base di partenza ottimale per le vacanze naturalistiche che propone nei parchi e riserve del Paese, potendo vantare uno staff qualificato di guide naturalistiche certificate e molto preparate. Sono bastate due ore a Xavier, il fondatore del Neblina Forest con la moglie Mercedes, equadoriani entrambi, per farci assaporare la bellezza quasi selvaggia dei "rios" che percorrono la città, oggi parchi per gitanti e famiglie, e quante specie di flora e fauna vi esistono. Il costo di un tour di 7gg è di circa 1000$ a persona, doppia occupazione in ecolodges di medio-alta categoria, incluso tutti i pasti ed i trasferimenti (tranne quelli aerei). Ci siamo spostati poi due ore d'auto a nord ovest della Capitale, preferendo la vecchia carrozzabile alta sulla Sierra alla ottima strada di recente costruzione. Boschi, fiumi, fattorie e villaggi nei fondovalle e vulcani immensi all'orizzonte. Fino al Bellavista Cloud Forest Reserve lodge di grande fascino, costruito 20 anni fa da Richard, inglese impegnato da anni nella conservazione e protezione della Sierra ecuadoriana. A 1200m di quota, tutto in legno e materiali locali, si trova al centro di una proprietà di 700ha di foresta nebulosa e offre oltre 10km di sentieri perfettamente integrati e manutenuti. 8 stanze doppie con bagno a 115$ al giorno/pp in mezza pensione e altre stanze per gruppi con bagni in comune a 65$/pp m/pensione, per una capacità totale di 55 posti-letto. Con l'aiuto dei suoi naturalisti, Richard ha censito decine e decine di specie di uccelli avvistabili in zona, ma le guide conoscono bene anche flora, fauna ed insetti della foresta e le loro caratteristiche specifiche, e vengono proposti anche tours in altre zone e parchi nazionali. Dopo un'ottimo pranzo in stile locale, in meno di un'ora siamo alla Casa Divina Lodge, struttura moderna, quasi lussuosa, con solo 7 stanze doppie in 3 cottages, nel bosco più fitto alle porte di Mindo, prima destinazione turistica nella foresta nublata dell'Equador in termini di tempo e di importanza, a 1000m di quota. Efreim, ecuadoriano, e Molly, americana, l'hanno costruito a coronamento di anni di impegno nello sviluppo ecosostenibile del territorio, e di collaborazione alla popolazione locale. Il costo delle stanze è di 230$/gg in mezza pensione, con una cucina particolarmente curata. Con una varietà di attività possibili nei dintorni e in escursioni più impegnative, è raccomandato per amanti della Natura che gradiscono un servizio di alto livello a costi di concorrenza. Il giorno dopo infine abbiamo raggiunto, due ore a sud di Quito, il Tierra del Volcan, stupenda fattoria riconvertita più che centenaria a 3800m di quota, ai piedi del cono innevato, perfetto, del vulcano Cotopaxi che sfiora i 6000m. Anche qui grande attenzione per l'ambiente e per il turista, ma anche per le tradizioni locali sia nei materiali usati e nello stile degli ambienti, che per i servizi ed i cibi offerti. La fattoria possiede circa 1000ha di pascolo d'alta quota con 30km di sentieri per trekking, bici e cavalli, e confina col Parco avendo ceduto all'Ente altri 9000ha della proprietà originaria. Un'emozione particolare cavalcare a 4000m alla vista del vulcano, per poi rilassarsi davanti il camino con un bicchiere di "canelazo" caldo in mano (specie di ponch analcolico alla frutta e cannella). Jorge e Maria, equadoriani, due splendide bambine, l'hanno ampliata e ristrutturata perfettamente, ricavandone 22 stanze doppie e familiari, tutte con bagno, per 52 posti letto, e lo gestiscono con grande simpatia ed efficienza. Organizzano ogni tipo di escursione e spedizione anche alpinistica in tutta la regione, potendo offrire anche un rifugio, "Tambo" in termini Inca, proprio alla base del grande vulcano. A questo punto, 'provati' da tanta bellezza, il giorno dopo prendiamo un volo per le Galapagos, e veleggiamo a Isabela, la più remota, grande e selvaggia delle isole dell'arcipelago. Già, perché fino a ben poco tempo fa era questa quasi l'unica destinazione naturalistica nota dell'Equador. Dopo un salutare bagno in compagnia di foche e pinguini che ci guizzano intorno in grande confidenza e direi amicizia, visitiamo due strutture che ci sembrano di interesse, entrambe a un passo dalla spiaggia. La prima è la migliore dell'isola, l'lguana Crossing, un Boutique Hotel moderno, con piscina e jacuzzi, che offre 15 camere molto belle e anche suites e ristorante di classe a 250$/g con colazione. La seconda, La Casa de Marita, è più tradizionale, immersa in un bel giardino tropicale. Costruita da un italiano che vive qui da più di vent'anni, offre 13 grandi stanze a 150$/g con prima colazione, una metà vista mare, ed un ristorante con influenze italiane. A questo punto la nostra esplorazione non certo esaustiva dell'Equador, si conclude nel migliore dei modi, davanti un 'chevice' di pesce fresco ed una birra fredda servita in uno dei tanti ristorantini locali di questo tranquillo paesino di forse 1100 abitanti. Pensare che appena 15 anni fa ne aveva forse un quarto, niente elettricità, nè telefoni, e ci volevano 9 ore di barca per arrivarci da Santa Cruz!

giovedì 16 aprile 2015

Galapagos, oltre il mito mediatico un' esperienza speciale

Il titolo sembra quello di un'inchiesta, ma in realtà vorrebbe essere solo un tentativo di uscire dal mito e descrivere un po' le cose come stanno in questo arcipelago del tutto speciale. Sì, perché di una terra speciale si tratta, ma quale non lo è in fondo? Non è proprio questo il bello del viaggio, della natura, della scoperta? Il bello della diversità. Qui, mettendo un momento da parte gli stupendi documentari naturalistici e le crociere che offrono qui, che ne fanno rivedere le scene e le emozioni dal vivo (e a caro prezzo), avendo tempo a disposizione, noi siamo andati finora alla scoperta di due delle isole maggiori, San Cristobal e Santa Cruz, in relax, con il "fai da te" ascoltando e confrontando le esperienze di altri viaggiatori. Intanto occorre considerare che il clima è quasi arido, cactus, opuntias e arbusti bassi a tappeto, su un suolo vulcanico difficile da percorrere. Solo poche aree oltre una certa quota diventano più verdi e floride. La fauna non è ricchissima come ci si potrebbe aspettare: a terra iguane terrestri e marine, lucertole, e poco altro, poi uccelli, bellissimi quelli marini, sule, fregate, fenicotteri e altri, a mare gli onnipresenti e quasi domestici leoni marini, delle dimensioni di foche, giocherelloni ed invadenti, pensano che la barca sia di loro proprietà. A Isabela ci sono i pinguini. Tutti senza timore di essere cacciati, come si sa, ma questo vale anche per le cernie di Linosa e di Ustica, tanto per dirne una. A San Cristobal abbiamo percorso gli unici due sentieri possibili, sfidando il caldo torrido, e questa è stata la vera è più bella scoperta: spiagge deserte, scogliere a picco sui frangenti dell'oceano, animali lì tranquilli a farsi fotografare, nessun ranger che, se da una parte ti insegna tante cose curiose, dall'altra ti condiziona tempi e sapori dei luoghi. Lo stesso per le immersioni. Dimenticate i vortici di squali pinna bianca e martello, ci sono anche quelli qualche volta, ma lo stupore include anche molto altro, a cominciare dal fatto stesso di essere li, dall'altra parte del mondo, di esserci arrivati sulla propria barca invece che in aereo, e di assaporare paesaggi diversi, per l'appunto, con i leoni marini che ti sbucano da dietro come siluri, con la risacca dell'oceano che sale sulle rocce lì vicino, con le fregate che volteggiano sopra e le sule che ti guardano con curiosità invece che con timore. A Santa Cruz c'è una delle più belle spiagge che abbia mai visto in vita mia ad un'ora di cammino dalla cittadina, ma c'è poco altro e niente colonie di uccelli, per quelli bisogna andare in gita su altre isole vicine, cosa che faremo quando verranno i nostri amici. Oltre ai pinguini, sappiamo che Isabela, la più remota e meno abitata delle isole maggiori, offre una enorme caldera fumante a 1400 metri di quota, tunnels di lava con il mare dentro, (sull'Etna hanno il ghiaccio dentro e non credo che vengano in molti da tutto il mondo a vederli..) e scopriremo cosa altro quando ci andremo. Insomma la realtà supera l'immaginazione in quanto è realtà, appunto, e a condizione che non ci si faccia condizionare troppo dai media, dal marketing e dai miti, che magari glissano su caldo torrido, piogge tropicali, mosche cavalline, ecc, ecc. Per noi va bene così, vivere e scoprire poco a poco queste isole che hanno fatto la storia della protezione ambientale e dell'ecoturismo è un piacere ed un privilegio. PS: ultima possibilità Galapagos il 15 maggio imbarco, 20 partenza per il Messico 950 miglia, arrivo previsto il 28-30, sbarco il 2-3. Barca in secca e ritorno a casa! Pensateci!..

venerdì 3 aprile 2015

Immersioni alle isole Galapagos con i leoni marini

Galapagos prime impressioni. Quindi abbiamo raggiunto anche questa mèta. Se Panama ci era sembrato un traguardo immensamente lontano, ora siamo anche oltre. E ovviamente ci sarebbe molto "oltre" ancora. In baia qui, a San Cristobal, ci sono 4-5 barche a vela, non di più, oltre quelle da pesca e da lavoro dei locali.. Tutte tranne noi sulla rotta verso le Marchesi, 2800 miglia, e la Nuova Zelanda o l'Australia, altre 6000 circa. Ogni qualche giorno una barca parte, una arriva. Due gli italiani in questo momento oltre me. Paolo, romano, una bella barca in alluminio, per un progetto di giro del mondo in tranquillità. E Nanni, torinese, un vero navigatore su una barca in acciaio, in arrivo dal Messico dopo aver fatto, udite udite, la Groenlandia ed il passaggio a Nord-Ovest fino in Alaska, primo italiano a compiere questa rotta mitica. E con in testa il progetto di completare il giro artico andando dal Giappone alla Norvegia via Siberia: un giretto da nulla... Ma il fatto vero è ormai evidente: i miti non esistono, al più sono creati dai racconti dei protagonisti stessi, o dagli scrittori, o dal marketing del turismo e dell'avventura. Così anche per le Galapagos. Oggi per noi qui la prima gita col ranger, e le prime due immersioni al Kicker Rock, uno scoglio veramente impressionante, a picco sopra e sott'acqua, a nord di San Cristobal. Uccelli, squali martello e pinna bianca piuttosto grossi, luce di taglio tra le fenditure delle rocce, leoni marini come siluri sempre a caccia di pesce. Molto molto selvaggio, scenico, speciale. Ieri una passeggiata al centro visitatori, ben fatto, offerto pochi anni fa dalla cooperazione spagnola, appena fuori del piccolo abitato. Incredibile la storia dell'arcipelago, con parecchi tentativi (falliti) di colonizzazione che si sovrappongono ad un lungo periodo di sfruttamento delle risorse naturali durato fin quasi all'estinzione di foche, tartarughe e balene. Poi l'istituzione del Parco Naturale forse più controllato e protetto del mondo (a ben ragione) che è anche allo stesso tempo un sfruttamento economico in piena regola ed una grande operazione di marketing turistico. Tra tasse e servizi abbiamo pagato ben 1400€, ci hanno fatto un'ispezione meticolosa all'inverosimile, dentro, fuori e sotto la barca, e ci hanno tassativamente proibito quasi tutto, tranne che stare alla boa nelle uniche tre rade a tal fine destinate, di fronte agli abitati delle tre isole maggiori. La cosa che ci aveva colpito di più costeggiando San Cristobal a nord, arrivando da Panama e da Malpelo, era l'assoluta assenza di tracce umane lungo i 50km di costa. Un tappeto verde di bassa vegetazione da clima semiarido con qualche alta formazione del tutto arida di roccia lavica qui e là di fresca eruzione. Ė di roccia lavica anche Kicker Rock, dove ci siamo immersi, e un promontorio poco lontano anch'esso a precipizio verticale sul mare. Ovunque i leoni marini endemici dell'isola, simpatici bestioni dalla mimica umana e la voce ragliante, i pellicani, i granchi saltanti, capaci anche di andare avanti e indietro e non solo di lato. E le iguane marine, evoluzione locale di quelle terrestri, capaci di apnee anche di 30 minuti e 30 metri di profondità. E ancora non abbiamo visto quasi niente! Ma forse è meglio lasciar perdere i miti, sorvolare sugli aspetti economici e goderci la natura come ci si presenta, nella sua stupenda diversità, come sempre ce la godiamo quando l'uomo non la distrugge, quando non occupa territori che non gli apparterrebbero.

Sandra, una vita a Malpelo per salvare gli squali

Chi conosce Malpelo? Quasi nessuno, eppure da 10 anni questa isoletta, una rocca di neanche 1 miglio per 2 nel mezzo del nulla, a 200 miglia dalla costa colombiana, lato Pacifico, e 300 da Panama, è Sito Unesco Patrimonio dell'Umanità, da 15 anni è Marine Special Protection Area dell'IMO (International Maritime Organization), e da 20 Riserva Marina Integrale della Repubblica della Colombia. E tutto questo per merito di Sandra Bessudo, una donna, vorrei dire una ragazza, tanto amante della natura e del mare da fare della loro difesa la battaglia di una vita. Mi ha messo sulle sua tracce Laura, che l'ha vista intervistata in TV per la sua battaglia contro i trafficanti di pinne di squalo. Da ragazzina visitò l'isola (con suo padre sub e naturalista, immagino) e se ne innamorò. Poco dopo incontrò ai Caraibi per caso il suo Presidente, ed ebbe la sfrontatezza di perorare la causa della sua protezione. Batti e ribatti è riuscita e ottenere tutto quello che voleva. Oggi conduce la Fundaciòn Malpelo e almeno due spedizioni l'anno di ricercatori colombiani sull'isola. È qui che la incontro, per una seria di fortunate coincidenze, sulla mia rotta con Bulbo Matto da Panama alle Galapagos. In primis, senza permesso neanche mi volevano fare fermare. Superata questa resistenza con una serie di insistenze e di fantasiose motivazioni all'italiana, ci indicano un ormeggio sopravvento, intenibile, poi un altro a sud, così al largo da farci sentire assolutamente in mezzo al mare, di fronte ad una costa quasi verticale e a scogli ripidi assediati dalla enorme risacca oceanica, il tutto letteralmente ricoperto da migliaia di nidi e sorvolato da stormi di uccelli schianazzanti. La chiamiamo per radio, più volte, è sull'isola!, sta "buseando", ci dicono, è in immersione col suo gruppo di ricercatori. Al tramonto vediamo arrivare verso di noi un gommone: è lei, minuta, giovane, occhi chiari, rimaniamo tutti impalati a guardarla. La accompagna Erica Lopez, Ranger della Riserva, un'altra forza della natura, entrambe ancora con la muta bagnata addosso, colombiane della nuova Colombia che vuole e sta diventando una Nazione moderna e rispettabile. Ci raccontano tutta la storia della "loro" riserva, del bendidio di vita marina che c'è sotto, delle loro battaglie ecologiste. Come vorremmo fare un'immersione, almeno una! Alex ha pure studiato biologia marina ed è master diver! Niente da fare sono piene di lavoro e di gente da seguire.. Alla fine della visita, dopo scambio di mail, abbracci e baci, Alex, lo spiritoso di bordo, con disinvoltura fa il gesto di buttare la lattina vuota di birra in mare: Sandra ha un moto, ma è uno scherzo! Con questa ultima risata ci lasciamo, noi con un po' di rimpianto per le meraviglie che possiamo solo immaginare, augurandoci un ottimo proseguimento, ognuno per la propria rotta...

martedì 31 marzo 2015

ci mancavano le calme equatoriali...

Molti, se non tutti, ne abbiamo letto nei libri di Salgari, ma che sono esattamente i doldrums? Si fa presto a dire "calme equatoriali", ma avete presente una calma TOTALE per giorni e giorni? Niente vento, naturalmente, se non soffi appena rinfrescanti a mitigare il sole caldo da bruciare, solo qualche delfino e pochi uccelli, nemmeno una barca o una nave neanche col radar e mare quasi piatto, perché l'oceano piatto non è mai, liscio come l'olio sì, ma sempre con onde di 1-2 metri che viaggiano lente in più direzioni, quasi invisibili, appena accennate, morbide, lontanissime l'una dall'altra, anche 2-300 metri, ma pur sempre maestose. Dopo più di 24 ore di motore sotto la protezione del tendalino provvidenziale come non mai, incoraggiati da qualche increspatura sulla superficie, oggi pomeriggio abbiamo dato vela, più che altro per una pausa di pace e di silenzio. Regolate le vele al traverso, Bulbo Matto a preso a scivolare in questo nulla, piano piano, forse 4 nodi di vento, noi 2 poi 3 nodi di velocità, anche 4 a volte, e ci ha regalato una serenità preziosa fino ad un altro tramonto stupendo, con l'arancio che ondeggiava tra le masse d'acqua che viaggiavano lente con movimenti leggeri. Poi è finito tutto, un'altra notte di motore, e altre due ce ne sono fino a San Cristobal. Uno splendido quarto di luna ci consola. Ma l'indomani c'è l'equatore da attraversare! Per me ed Alex è la prima volta in barca a vela. Sam si traveste da Nettuno (vedeste le foto!) e noi confessiamo i nostri peccati, implorando il perdono ed una traversata felice. Nettuno, bonario, accoglie le nostre richieste...

mercoledì 25 marzo 2015

la foresta del Darièn, incontri ed emozioni


Sam regge il timone con perfetta competenza nell'alba limpida del golfo di Panama. Abbiamo lasciato ieri pomeriggio Bahia Piña, costa del Darièn, rotta 240º sulle Galapagos (850 miglia) con sosta possibile all'isoletta di Malpelo, competenza della Colombia, molto meno nota ma dicono altrettanto ricca di pesce come l'isola di Coco, 500 miglia più a nord, al largo del Costarica. All'estremità est di Panama, al confine con la Colombia, la Carrettera Panamericana, progetto di un secolo fà che avrebbe dovuto correre dall'Alaska alla Terra del Fuoco, si interrompe bruscamente di fronte alle montagne ed alla giungla del Darièn. E mai più sarà completata. Perché il Darièn è un parco naturale patrimonio, grazie a Dio, dell'umanità. Che la strada non sia stata realizzata proprio a causa delle impervie condizioni geografiche, oppure perché osteggiata da guerriglieri e trafficanti che se ne avvantaggiano per esercitare meglio le loro attività illegali o antigovernative non è dato di sapere. Certo è che la natura ha così vinto su tutto, rimanendo al sicuro da uno sfregio profondo che avrebbe sicuramente dato avvio ad attività economiche le più varie di penetrazione e sfruttamento. Mentre adesso solo gli Indios Emberà e Wounnan la abitano e la conoscono a fondo. Attratti dalla promessa di natura incontaminata di questa area grande più della Sicilia e dalle culture indio, avevamo dato àncora a Bahia Piña, a meno di 50 km dal confine con la Colombia, e ne abbiamo fatto per qualche giorno la nostra base per vivere e capire un po' di questa regione ben poco nota e frequentata. Bahia Piña ci ha affascinati: provate ad immaginarvi un anfiteatro fitto di foreste, alte montagne dietro, le poche case dell'unico villaggio perse nella stretta pianura dietro una spiaggia che la borda da un angolo all'altro. Una mattinata a passeggiare nel villaggio, guardare le piccole attività, fare un bagno nel fiume tranquillo e trasparente (ma solo in questa stagione..) accanto alla breve pista dell'aeroporto. Poi un pomeriggio a risalire il Rio con nostro tender un paio di km con l'alta marea fino al villaggio. Ore a guardare il mare tiepido che letteralmente pullula di vita da ogni parte, pesci guizzanti, pellicani indolenti, qualche piroga con bimbi e ragazzi che pescano, donne gentili che propongono artigianato delizioso alla nostra barca, la sola in tutto questo ben di dio.. Poi ieri una gita su nel Rio Jaquè, mezz'ora più a sud, è stata la ciliegina sulla torta: mintanto l'emozione di entrare nel fiume all'alba (e poi di uscirci, con l'alta marea del pomeriggio: un ostacolo pericoloso costato in passato la vita a molte persone) superando gorghi e correnti vorticosi sulla lancia un po' sgangherata della nostra guida Rodolfo, poi di risalirlo una ventina di km fino a Birochera, villaggio degli indio Wounnan, casette di legno rialzate da terra, tanti bambini, canuzzi polli e una vita ai minimi termini. Dopo aver parlato un po' in giro, fotografato e passeggiato, alla fine, sulla via verso la lancia del ritorno, troviamo una piccola folla di curiosi e bambini nella capanna grande che fa da centro di riunione e da chiesa della comunità con una varietà di piatti e vasetti colorati, maschere, oggetti di legno e di tagua (avorio vegetale) intagliato. Impossibile non comprare qualcosa. Ma adesso stiamo navigando in Oceano e siamo concentrati su meteo (perfetto, per fortuna), sicurezza e conduzione di Bulbo Matto, e su quanto avrà da offrire la nostra prossima mèta.

lunedì 23 marzo 2015

Le isole Las Perlas, ville miliardarie e lusso fuori posto

35 miglia a sud est di Panama City c'è un arcipelago dal nome affascinante, Las Perlas. Un centinaio di isole ed isolette poco abitate, una delle maggiori, San Josè, è privata e vi sorge un unico resort di cottage di lusso sparsi nella foresta. Poco vento, vi arriviamo il giorno dopo dal Canale, un po' motore un po' gennaker. Ci ancoriamo a ridosso della più frequentata, Contadora, accanto altre poche barche a vela, così chiamata perché gli spagnoli vi contavano i tesori trafugati nell'America del Sud, prima di sbarcarli a Panama, trasportarli dall'altra parte e reimbarcarli per la Spagna, pirati permettendo. Ma la delusione è grande: l'isola è disseminata di ville miliardarie quasi tutte chiuse in una vegetazione secca, direi invernale, se non fossimo quasi all'equatore. Un'atmosfera da stazione turistica di lusso fuori stagione. Ma soprattutto il mare è verde palude e freddo! Anche le altre isole non sono certo più attraenti: belle nella loro selvaggia natura, ma non molto fruibili: foreste scure ed intricate, spiagge deserte ed altrettanto selvagge ma ben poco balneabili, in queste condizioni. Dopo qualche giorno le lasciamo senza troppi rimpianti e ci molliamo al tramonto per una traversata notturna di 60 miglia verso sud est, costa del Darien: la regione più remota e meno sviluppata di Panama. La notte è buia e incute quasi paura: ma per fortuna ci danno felicità miliardi di stelle, in cielo e nel mare, dove il plancton segna la nostra scia e quella dei tanti delfini che ci accompagnano: sembrano comete accanto e sotto di noi, si intrecciano, fanno evoluzioni e giravolte luminose che ricordano quei bastoncini scintillanti che accendevamo nel buio da bambini a carnevale. Questa volta le nostre aspettative sono pienamente appagate: all'alba ci appare un profilo frastagliato di diverse quinte di alte montagne coperte di giungla e la mèta che avevo adocchiato sulla carta, Bahia Piña, si rivela una base stupenda per qualche esplorazione in questo parco naturale quasi impenetrabile al confine con la Colombia, più grande della Sicilia. Pullula letteralmente di pesci e di vita, che vediamo schizzare dappertutto inseguiti da invisibili predatori. Il mare è finalmente più caldo, pulito e trasparente, e la nostra barca è la sola all'ancora in un grande anfiteatro perfettamente ridossato, quasi senza traccia umana intorno. Subito ci vengono intorno tre ragazzini sulle loro piroghe di tronchi scavati: sono Indios Emberà, teneri, deliziosi, gentili, ci propongono i loro stupendi piattini e vasetti di fibra di palma, intrecciata così fitta da poterne fare recipienti per l'acqua. Poi ne chiamiamo un altro più grandicello che passa accanto dopo la sua pesca mattutina, sarà la nostra guida del giorno. Ortega ci sbarca uno ad uno sulla spiaggia che sembra infinita, tagliando indenne i frangenti che la battono e ci conduce al piccolo villaggio, forse una cinquantina di case, una chiesa, una scuola affollata di bambini ed un locale comune per il tempo libero. In una di queste ammiriamo una donna in costume locale che intreccia un enorme piatto tutto di fibra di palma colorata a motivi tradizionali, un vero capolavoro di enorme valore, saranno mesi che ci lavora. Accanto alla breve pista d'aeroporto (un monomotore due volte la settimana per Panama City) un bagno rinfrescante nel Rio Piña, trasparente da poterlo quasi bere, e la gita è già finita. Una realtà ai minimi termini, vedremo nei prossimi giorni cosa potremo vivere di questo posto così tranquillo da farci sentire totalmente fuori dal mondo.

Il canale di panama con il gran pavese in testa d' albero


Di quest'opera incredibile di ingegneria marittima, civile ed idraulica, sapevo già tutto: che era stata realizzata giusto 100 anni fa, con una lungimiranza tale da renderne necessario l'ampliamento sono in questi anni, dopo un secolo di sviluppo economico mai prima neanche immaginabile; che era costata allora la vita a qualcosa come 25.000 persone, tra malattie, incidenti e attacchi di puma, giaguari, coccodrilli e serpenti; quante navi vi transitano oggi, circa 40 al giorno, quanto pagano, anche 200.000$ e più l'una per una portacontainer 380 metri di lunghezza e 4000 pezzi impilati dentro e sopra, quanto guadagna un pilota senior, oltre 300.000$ l'anno, ecc, ecc. Avevo visitato con grande stupore le enormi chiuse già a giugno scorso, e transitato pure, aiutando il mio amico Matt, navigatore quasi solitario avendo a bordo solo il suo cane Oskar. Ma non pensavo che avrei ancora avuto un'emozione così grande, entrare nelle chiuse di notte, alla luce gialla delle fotoelettriche, al timone della mia barca. Ci è sembrato di entrare in un enorme teatro, su una scena tutta per noi, di cui eravamo noi ci protagonisti. Il copione era ben collaudato: quattro amici alle cime ai quattro angoli della barca, il pilota che mi suggeriva le manovre, una chiusa dopo l'altra, senza un problema, in zattera con altre due barche, siamo saliti 27 metri al lago Gatùn, dove abbiamo cenato (pasta all'amatriciana) e passato una notte fresca e tranquilla attraccati alle altre barche in transito come noi quella sera. All'alba della mattina dopo, odori di uova con la pancetta, risate e chiacchere in una mezza dozzina di lingue diverse, poi arrivano i piloti e si parte per le 36 miglia di motore che ci portano alle chiuse Pedro Miguel e Miraflores, altri tre salti in discesa per scendere in Oceano Pacifico. All'ultima riusciamo ad individuare la webcam che ci riprende tutti e che potrebbe consentire ad amici e parenti di vedere il nostro transito in diretta. Probabilmente saremo troppo piccoli, quasi indistinguibili, la barca accanto ha issato uno striscione con suo nome, noi il gran Pavese in testa d'albero, mi levo la maglietta e mi sbraccio sorridendo.. Stamattina mi sono fatto magari la barba! Mi vedrà nessuno dei parenti e amici che ho allertato? Chissà.. Ma per noi è comunque una grande festa, un'emozione vera e forte.. Indimenticabile! Alle 15 siamo già in Pacifico, neanche mezz'ora e siamo ancorati davanti al marina di Balboa, stremati dal caldo e dall'emozione, accanto ad altre decine di barche, molte presumibilmente in partenza per la traversata più lunga, quella dell'oceano più grande. Noi prenderemo le Galapagos come una boa e torneremo indietro, a Panama o forse piuttosto in Messico, Mare di Cortes. Tutto il resto è troppo lontano e impegnativo. Ma quello che abbiamo fatto già ci soddisfa tutti in pieno, ed il Canale appena vissuto ne è un capitolo fondamentale. Chi se lo sarebbe immaginato solo 3 anni fa?

sabato 14 marzo 2015

Bulbo Matto attraversa il Canale di Panama, e via in Pacifico

Ragazzi, è stato semplicemente fantastico! Condividerlo con una mail o un Blog questa volta non credo sarà possibile... Il pilota è arrivato alle 6. Guillermo, lo stesso gigante gentile, un sosia di Danzel Washington, che era a bordo quando abbiamo fatto il canale a giugno sulla barca di Matt e del suo cane Oscar, oggi oltre capo Horn, sulla rotta verso Città del Capo. Entriamo nella prima chiusa già col buio, sotto le luci gialle del canale, in formazione con altre due barche, con quella centrale, la più potente, che spinge tutti, e noi ai lati a tirare o frenare col motore agli ordini del pilota, per dirigere il convoglio al centro, tra due muri neri alti 10 metri decisamente inquietanti. Noi di sinistra abbiamo due lunghe cime che ci trattengono da un lato, il catamarano dall'altro lato le altre due. Tutti naso in su a tirare foto, a cercare le webcam che dovrebbero riprenderci, a sorridere e sbracciarci ai cari dall'altro lato del mondo. Emozione pura! Non avrei creduto, essendo la mia seconda volta, ma condurre la propria barca, qui, di notte, è evidentemente tutta un'altra cosa. In due ore siamo fuori, senza un problema, tutto liscio e perfetto, un bel gioco di squadra. Andiamo all'ormeggio nei pressi, il sugo all'amatriciana di Simona era già pronto, l'acqua bolle, un gran piatto di pasta e tutti a nanna, sfiniti certo più dall'emozione che dalla fatica, nella pace totale del lago Gatun. Oggi la traversata del lago, 36 miglia, e verso le 14 le chiuse miraflores, in discesa verso il Pacifico. Io in Pacifico! Stento ancora a crederci...

giovedì 12 marzo 2015

Costa Rica, immersioni all' Isla Cano

IMMERSIONI ALL’ ISLA CANO – PARCO CORCOVADO, PENISOLA DI OSA, COSTA RICA Il Costa Rica è un vero paradiso terrestre. La natura incontaminata conserva una purezza altrove scomparsa ed una concentrazione di biodiversità che per noi occidentali è solo un concetto astratto. Il 2 % delle specie esistenti al mondo vive indisturbata in questo angolo di mondo tra due oceani, il Pacifico e l’Atlantico. Luce, colori, profumi e suoni sono un costante spettacolo che cattura l’ attenzione e risveglia i sensi, colpiti dall’ ossessivo gracidare metallico delle rane. Ne esistono decine di specie, le più sgargianti sono quelle velenose, i turisti le vanno a fotografare la sera, nel fitto delle foresta dove si fanno parecchi incontri inaspettati, le innocue lucciole, i serpenti, le scimmie, i pappagalli, le tarantole, gli iguana... Per chi ne avesse perso la memoria, passeggiando nella foresta nebulosa del Costa Rica ti volano sulla testa colibrì viola e verdi, ogni tipo di grosse e piccole farfalle maculate, blu o gialle, occhi in alto per pappagalli ara ed aquile, più raro, nella foresta nebulosa oltre i mille metri vive il famoso Quetzal rosso e turchese. Andando verso sud, tra i fiumi fangosi si fermano a decine al sole i coccodrilli, e nella selva tra foce e mare del parco Corcovado, il grosso tapiro, riposa fuori dalla palude tra aironi e scimmie urlatrici. Simpatico e indolente, non meno del bradipo, solo le guide più ostinate ne scovano odore e tracce. Ne restano solo poche centinaia al mondo. Inutile illudersi: L’ oceano Pacifico, si calma solo d rado e poche ore al giorno. Di solito ruggisce come uno schianto, la marea si alza ogni sei ore, il vento e la corrente indicibile giocano a formare onde oceaniche di parecchi metri, che mescolano tutto in una cascata marrone che sbatte sulle spiagge nere che qui sono rigorosamente libere da lidi ed ombrelloni e larghe come autostrade. La natura dalla terra, ai vulcani al mare si percepisce come un’ entità sovrastante: non a caso il motto -saluto dei Costaricensi, semplici e cordiali, non è il nostro laconico “in bocca al lupo” o salve, bensì Pura Vida. Un inno alla nostra più ancestrale origine di esseri viventi, un tempo in grado di vivere in armonia con la natura. Così almeno era per gli Indios che ancora oggi vivono nell’ inviolata ed immensa foresta pluviale al confine tra Panama e Costa Rica. Ne restano in tutto 60.000 divisi in otto tribù, quasi tutti nella foresta centrale del paese, a Talamanca. A Panama, si sono rifugiati dopo le persecuzioni degli europei nel fitto del Parco Darien. Visitare il museo dell’ Oro Precolombino nel centro della capitale del Costa Rica, San Josè, nella bella e pulitissima Plaza della Cultura dal sapore coloniale, serve a capire la storia di questa giovane democrazia che si affaccia al futuro come santuario del turismo ecosostenibile, con un primato: un territorio nazionale protetto per quasi il 28 per cento, l’ acqua potabile che arriva in tutte le case ed una cultura della sostenibilità ambientale che si traduce in un turismo organizzato ed ecocompatibile, da fare invidia all’ occidente. Eccole le quattro R messe in pratica. Riusare, riciclare, recuperare le risorse, oltre che ridurre i consumi, in Costa Rica non sono affatto uno slogan, ma una pratica quotidiana. Se nessuno sporca e distrugge, tutto si mantiene. Nello sforzo comune. Dal più piccolo resort ai grandi centri commerciali. Arriviamo a Drake Bay, nella penisola di Osa, dal nome di un cacique Indios, in auto attraversando chilometri su chilometri di palmeti che, sin dalle origini, producono il frutto rosso per ricavare olio e fibra. Le multinazionali americane invadono da anni ormai il mercato mondiale con l’ olio che di certo, contribuisce al sovrappeso di molte donne del centro America. A Sierpe, un imbarcadero ci accoglie con ristoro ed informazioni. Le barche con potenti motori 300 cavalli sono allineate lungo il fiume, un paradiso di mangrovie e ficus fioriti dai profumi più che intensi, che qui ai Caraibi danno quasi assuefazione. Partiamo per Drake senza sapere cosa ci aspetta: oltre 30 passeggeri perfettamente stipati con bagagli di ogni tipo lanciati a velocità nel dedalo d’acqua del delta del fiume, sino ad arrivare in oceano, per cavalcare l’ onda ed il reef con disinvolti colpi di motore. Non esistono i pontili, a terra ci porta la risacca, a forza i marinai tengono la barca sbattuta dall’ onda mentre scendiamo increduli con l’ acqua alle ginocchia in un concitato passamano di bagagli sulle nostre teste. Il diving resort di Drake, Jinetes de Osa, tutto legno mimetizzato tra il verde tropicale, è molto ben organizzato. Stessa barca in vetroresina, grosso motore e attrezzatura nuovissima: si parte cavalcando le onde per l’ isla Cano, a 45 minuti a vista dalla Baia, alle sette del mattino. Prima immersione alle 8 in un’ acqua finalmente cristallina, sotto di noi le prime spotted ray ed una moltitudine di pesci. Forse i punti d’ immersione più belli resteranno il Diablo ed il Garden. Si scende in acqua libera a veti metri tra formazioni e canyon neri ricoperti di spugne rosa amaranto, coralli tabulari gialli e gorgonie dal verde al viola. Pochi minuti per capire che la corrente è ingestibile, inutile pinnare contro, meglio salire sull’ altalena e sfruttare l’ onda buona per avanzare. Sotto di noi si concentrano molti squali di piccola e media dimensione, white phin tale, grossi tonni e carangidi di 6, 8 chili ci passano accanto, barracuda in cerchio ci danzano in alto, e sotto uno sperone dorme una grande tartaruga dalla testa gialla e rugosa. Che non è interessata a noi subacquei che le arriviamo ad un palmo dalla bocca. Le guide ci assicurano che l’ Isla Coco, a più di un giorno di navigazione veloce da qui, è ancora più ricca di specie, incluso lo squalo martello e balena, ma questo spettacolo che vediamo ci sembra già più dell’ immaginabile, per noi subacquei mediterranei. In mare non c’è un millimetro di plastica, al fondo di rado un’ ancora o un resto di metallo ricoperto dalle alghe. Un’ ora di riposo sulla spiaggia nera della riserva marina, doccia e volendo riparo all’ ombra nella sede del parco, e siamo pronti per il secondo tuffo alle 10. Frutta e biscotti, succhi freschi sono rapidamente serviti dal personale preparatissimo che mette tutta l’ attrezzatura al suo posto come per incanto. L’ isola fa parte del Corcovado per la gestione, un tempo la si poteva visitare sui sentieri interni, oggi è una stazione di biologia marina e conserva un sito archeologico con le misteriose sfere di granito che gli Indios utilizzavano nelle cerimonie funerarie. Qui non si lascia e non si prende nulla da terra, solo le proprie orme sulla sabbia, come recita il cartello di benvenuto ai visitatori che con fatica giungono in questo paradiso sperduto, e con grande gioia se ne vanno, sicuri che così sarà preservato per i secoli a venire.

mercoledì 4 febbraio 2015

San Blas magia e silenzio tra gli atolli

San Blas:Magia Vera? Increduli, navighiamo e ci domandiamo quanto durerà.Sarà che lo stupore dei primi due anni è sbiadito, sarà che il sole è troppo spesso velato, sarà che ci sono un po' troppe altre barche in giro, sarà anche un po' di stanchezza e di nostalgia di famiglia, ma tutto ciò mi suscita riflessioni miste... Certo che i tempi che viviamo, con tutta questa facilità di movimento, libertà di scelta e consumismo, anche dei luoghi donateci dal Signore, creano delle contraddizioni pazzesche. Le San Blas non fanno ovviamente eccezione. Sono un arcipelago di minuscole idilliache isole di sabbia e corallo alte 1 metro sul mare, piene di palme al vento, una spiaggetta bianca tutta intorno, che punteggiano una laguna protetta dalle onde oceaniche nella quale gli unici pericoli (assolutamente reali) sono i banchi ed i coralli di cui è disseminata, e per i quali bisogna tenere gli occhi molto ben aperti, sugli strumenti e a prua. Sono abitate dagli indiani Kuna, che governano in autonomia e vivono una vita minima di pesca e raccolta e artigianato di molas, tessuti-patchwork che riproducono la loro simbologia. In ogni isoletta vive una o due famiglie, cani, maiali e bimbi al seguito, tranne alcuni veri e propri villaggi di 2-3000 persone. Uno scenario se non proprio da preistoria, quasi. Del tutto affascinante, idilliaco, mitico. Il punto è che il mito non esiste più, e tutti sappiamo che plastica e cellulari sono ormai ovunque. Ma il fatto è pure che sono ovunque anche i "backpackers", i ragazzi e meno ragazzi di tutto il mondo che ormai in gran numero hanno i mezzi per viaggiare ovunque e di più, a volte per anni. Per lo più con i mezzi locali, o in moto, qualche volta su natanti che sembrano galleggiare a malapena. Per carità, un bel progresso di civiltà, un movimento di crescita, di curiosità e di conoscenza. Ma il risultato è prevedibile: gente e rifiuti ovunque, non saprei dire con quanta consapevolezza dei luoghi e delle genti, nascita di business e servizi vari, utili anche ai locali per carità, ma molto spesso "inquinanti"anche loro. Per esempio le decine di barche che lavorano a portare questi viaggiatori alla giornata dalla Colombia a Panama e viceversa (non c'è strada percorribile tra i due paesi) con sosta appunto alle San Blas, oppure le sedicenti "feste tribali sciamaniche", raduni di musica, incontri, trasgressioni e sostanze varie che non lontano da qui radunano per giorni e giorni migliaia di persone in cerca di emozioni abbastanza prevedibili. Il viaggio vissuto in chiave di divertimento e trasgressione: che

giovedì 29 gennaio 2015

Janet e Tom eterni vagabondi

Non ci potevo credere... Chi incontro oggi sulla banchina di ShelterBay, di ritorno da una spesa colossale che abbiamo fatto, io e Alex, per un mese per quattro persone? Tom! Quello dei 28 anni in giro per il mondo con la barca autocostruita in ferrocemento! Quello incontrato a Saint Vincent, Cumberland Bay, e ritratto nel blog giusto un anno fa (pag. 66)!! Che tipo! Che bello rivedere lui e la moglie, un anno dopo! Sempre indaffarati a lavorare sulla loro barca, sorridenti, lui nero di grasso più o meno ovunque, lei affaccendata con i "mestieri di casa". Avranno quasi 60 (poi chiesto: 66 e 65) ma sono inossidabili, faticano duro ma sono liberi come gli uccelli che veleggiano sopra di noi, a ShelterBay, circondati come siamo dalla foresta pluviale più incredibile che possa esistere. Ci hanno invitato per una colazione, siamo arrivati alle 7:30 con la caffettiera pronta, ma loro erano già operativi, l'albero di mezzana a terra, il legno in cima mezzo marcio da rabberciare, ma si sono fermati a raccontare dettagli tecnici ad Alex, interessatissimo, e programmi di vita a me. Lei vuole fermarsi prima che la salute cominci a dare problemi, lui vuole affondare la barca piuttosto che vederla marcire da qualche parte. A questa prospettiva mi sono scaldato, anzi indignato: per loro questi anni rappresentano solo un viaggio di una vita vissuta con la semplicità, appunto, di una vita vissuta, ma in assoluto ho detto che invece quello che hanno fatto non è affatto normale e semplice, ė la realizzazione di un sogno complicato e difficile, una barca costruita le sere e i weekend di nove anni, poi le prime esplorazioni, l'Alaska, il Canada, poi i Pacifico e tutto il resto. Merita un museo! Un libro! Non certo il fondo del mare! L'ho vista commuoversi un po', confusa tra l'incredulità e lo scetticismo, poi mi ha detto che nella sua città c'è una scuola professionale per costruttori di barche, forse il direttore accetterebbe un regalo così importante ma anche impegnativo... Prova! Le ho detto! Portate la barca li, fategliela vedere, magari riesce a sognare anche lui! Ma poi mi fate sapere come finisce questa storia, ok, Janet? Ok, Tom? Siete grandi e non ve ne rendete conto...

mercoledì 28 gennaio 2015

Si riparte da Panama a suon di chitarra, rotta sulle isole San Blas

Il chitarrista questa sera è un norvegese enorme, capelli biondi ondulati, un po' avanti negli anni ma ha una voce roca affascinante, da marinaio d'altri tempi. Il batterista invece è canadese, meno prestante ma bravissimo. Al basso un ragazzino incredibile. Hanno messo su in mezz'ora un complessino per gli equipaggi del marina, la maggior parte coppie in pensione minimo con due tre oceani alle spalle, qualcuna giovane con ragazzini al seguito, ma altrettante miglia già navigate e molte altre in programma. Io mi sento l'ultimo arrivato, "solo" due anni di esperienza atlantica e solo una traversata. La scena si svolge in un pub all'aperto dal nome parecchio indicativo: "it's 5 o'clock somewhere". Due signore con parecchi anni e chili addosso ballano felici insieme ai bambini della comunità, e alla fine mi aggiungo anche io, travolto dalle note di "Marina" e di "Woman no cry", nostalgia? Sicuro, ma quanta allegria! Semplice lasciarsi andare, dopo una giornata di lavoro, ansia di finire e partire, discussioni con operai di incerta affidabilità ma più che certa onerosità spropositata... Poi due chiacchere con il marinaio colombiano del chitarrista-cantante-navigatore norvegese, che mi racconta delle loro ultime avventure e della amicizia forte e immediata sorta tra loro. Poi una coppia riconosce la mia maglietta della traversata ARC 2012 e subito siamo quasi fratelli, mettiamo in comune storie, rotte, avventure, vite. Anche se mi sento ancora l'ultimo arrivato, fare parte di questa comunità dei navigatori in movimento ė la cosa più immediata e spontanea del mondo...