mercoledì 25 marzo 2015

la foresta del Darièn, incontri ed emozioni


Sam regge il timone con perfetta competenza nell'alba limpida del golfo di Panama. Abbiamo lasciato ieri pomeriggio Bahia Piña, costa del Darièn, rotta 240º sulle Galapagos (850 miglia) con sosta possibile all'isoletta di Malpelo, competenza della Colombia, molto meno nota ma dicono altrettanto ricca di pesce come l'isola di Coco, 500 miglia più a nord, al largo del Costarica. All'estremità est di Panama, al confine con la Colombia, la Carrettera Panamericana, progetto di un secolo fà che avrebbe dovuto correre dall'Alaska alla Terra del Fuoco, si interrompe bruscamente di fronte alle montagne ed alla giungla del Darièn. E mai più sarà completata. Perché il Darièn è un parco naturale patrimonio, grazie a Dio, dell'umanità. Che la strada non sia stata realizzata proprio a causa delle impervie condizioni geografiche, oppure perché osteggiata da guerriglieri e trafficanti che se ne avvantaggiano per esercitare meglio le loro attività illegali o antigovernative non è dato di sapere. Certo è che la natura ha così vinto su tutto, rimanendo al sicuro da uno sfregio profondo che avrebbe sicuramente dato avvio ad attività economiche le più varie di penetrazione e sfruttamento. Mentre adesso solo gli Indios Emberà e Wounnan la abitano e la conoscono a fondo. Attratti dalla promessa di natura incontaminata di questa area grande più della Sicilia e dalle culture indio, avevamo dato àncora a Bahia Piña, a meno di 50 km dal confine con la Colombia, e ne abbiamo fatto per qualche giorno la nostra base per vivere e capire un po' di questa regione ben poco nota e frequentata. Bahia Piña ci ha affascinati: provate ad immaginarvi un anfiteatro fitto di foreste, alte montagne dietro, le poche case dell'unico villaggio perse nella stretta pianura dietro una spiaggia che la borda da un angolo all'altro. Una mattinata a passeggiare nel villaggio, guardare le piccole attività, fare un bagno nel fiume tranquillo e trasparente (ma solo in questa stagione..) accanto alla breve pista dell'aeroporto. Poi un pomeriggio a risalire il Rio con nostro tender un paio di km con l'alta marea fino al villaggio. Ore a guardare il mare tiepido che letteralmente pullula di vita da ogni parte, pesci guizzanti, pellicani indolenti, qualche piroga con bimbi e ragazzi che pescano, donne gentili che propongono artigianato delizioso alla nostra barca, la sola in tutto questo ben di dio.. Poi ieri una gita su nel Rio Jaquè, mezz'ora più a sud, è stata la ciliegina sulla torta: mintanto l'emozione di entrare nel fiume all'alba (e poi di uscirci, con l'alta marea del pomeriggio: un ostacolo pericoloso costato in passato la vita a molte persone) superando gorghi e correnti vorticosi sulla lancia un po' sgangherata della nostra guida Rodolfo, poi di risalirlo una ventina di km fino a Birochera, villaggio degli indio Wounnan, casette di legno rialzate da terra, tanti bambini, canuzzi polli e una vita ai minimi termini. Dopo aver parlato un po' in giro, fotografato e passeggiato, alla fine, sulla via verso la lancia del ritorno, troviamo una piccola folla di curiosi e bambini nella capanna grande che fa da centro di riunione e da chiesa della comunità con una varietà di piatti e vasetti colorati, maschere, oggetti di legno e di tagua (avorio vegetale) intagliato. Impossibile non comprare qualcosa. Ma adesso stiamo navigando in Oceano e siamo concentrati su meteo (perfetto, per fortuna), sicurezza e conduzione di Bulbo Matto, e su quanto avrà da offrire la nostra prossima mèta.

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