lunedì 9 maggio 2016

I miei messicani

Quante stupidaggini e preconcetti sui Paesi e sulle genti del mondo ci inondano e rischiano di travolgerci ogni giorno! Il Messico sarebbe un Paese pericoloso? I messicani lavativi, truffaldini e trafficanti di droga? Ma per piacere!! Certo, ci saranno i delinquenti da qualche parte, come da noi i mafiosi, ma quanti se ne incontrano o se ne possono riconoscere per strada? Sono ormai più di tre mesi che navighiamo in queste acque, che viaggiamo, osserviamo, guidiamo, prendiamo mezzi pubblici, frequentiamo città e paesi giorno e notte, e la cosa peggiore in assoluto che mi è capitata è stato un tassista di Mexico City che mi ha rifilato un biglietto da 200 pesos (10€) falso.. Per il resto, i messicani, i "miei" messicani, sono sempre gente cortese, corretta, curiosa di noi stranieri, che ci ha generosamente aiutato tutte le (tante) volte che ne abbiamo avuto bisogno, gente semplice, spesso anche umile, che si spacca la schiena a lavorare, che crede in un futuro migliore e investe e cresce e prospera. Ci è bastato buttare l'ancora davanti alcuni dei piccoli villaggi di pescatori sparsi su questa costa assolata del mare di Cortes per toccare con mano questa realtà. Alcuni sono raggiungibili solo via mare, eppure ognuno ha una scuolina, una chiesetta, una cappella o almeno una croce, e se sono appena un po' più grandi un poliziotto. Poche famiglie, case povere ma non misere, semplici e pulite, quasi sempre intonacate e dipinte a colori vivaci, spesso con giardinetti curati e galline e capre, da qualche anno con quella benedizione che sono i pannelli solari e le luci a led. E dove possibile, il governo ci porta l'acqua corrente da qualche pozzo o sorgente lontana o dissalata dal mare. Sbarchiamo a Nopolo, 11 famiglie vivono in un pianoro riarso appena più grande dell'insieme delle case che vi hanno costruito, ai piedi incombenti della stupende rupi della Serra de la Giganta, poi alla Isla Coyote, una rocca minuscola con 10 abitanti, senza quasi un filo d'erba, sembra il pianeta del Piccolo Principe, mi avvicino alle persone che vedo in giro o al lavoro, mentre puliscono il pesce o lo salano, o aprono e chiudono gli argini di una vicina salina, o che costruiscono una nuova tettoia, o fanno il bucato, e col mio spagnolo elementare, tradotto a fantasia dall'italiano ma ormai quasi fluente, mi presento, chiedo come va, ascolto, cerco di capire come e di cosa vivono, se hanno famiglia, figli, problemi, rispondo alle loro domande, se ho figli, che fanno, dov'è e come si vive in Italia, da quanto tempo sono via. Non è che ci siano tanti turisti da queste parti, nè tante barche, tanto meno italiani, e ancor meno gente curiosa che si fa avanti e si impiccia in affari forse non suoi. Con me che mi presento in tutta semplicità e spontaneità si crea immediatamente un contatto umano caldo, empatico, fiducioso. Quando ci si lascia mi chiedono quali sono i miei programmi, quando penso di ritornare a trovarli, mi augurano "que le vaja bien!". "Asta luego!" rispondo io, con un pizzico di dispiacere nell'andare via..

martedì 29 marzo 2016

Isla Isabela, bird sanctuary

L'odore aspro del guano ci ha investito una buona mezz'ora prima di arrivare, proprio con l'ultima luce dopo il tramonto, nell'unica baia di questo scoglio a 30 miglia dalla costa pacifica del Messico centrale. Ed è un ancoraggio piuttosto adrenalinico, con l'onda oceanico che ci solleva almeno un paio di metri prima di frangersi con un boato terrificante sulla scogliera lì vicino, accanto a noi, non riusciamo a valutare bene quanto vicino. Fortuna che non c'è vento, cosicché non c'è pericolo che l'ancora si metta ad arare e ci costringa a scappare nella notte senza luna. Dormiamo comunque con un occhio solo, la barca sballottata dalle onde, l'allarme programmato sul GPS, gli strumenti accesi pronti a qualunque evenienza, ogni due ore fuori a controllare che tutto sia a posto.. L'indomani già all'alba siamo tutti svegli, ammiriamo in silenzio la grandezza dei marosi nella luce che avanza, la scogliera rossa a picco, le migliaia di uccelli già a pesca, le fregate che rubano le prede alle sule, i pesci che balzano intorno. Un pescatore di passaggio ci offre di sbarcarci evitandoci l'incomodo ed l'incognita di usare il nostro tender, e subito ci mettiamo in cammino nel bosco arido per la nostra piccola esplorazione. Subito tra le fronde decine di nidi di fregate con i pulcini bianchi spelacchiati grossi come polli che ci guardano curiosi. Poi le sule con i nidi a terra, una femmina ha sotto due uova, scappa facendo la parte dell'uccello ferito, poi una coppia lì vicino intenta in un rito nuziale, col maschio che offre ramoscelli alla femmina, ed entrambi che oscillano la testa su e giù, strofinandosi l'un l'altra, a la scogliera che si apre sulla baia dove Bulbo Matto è ancorato, uno spettacolo di voli, versi, richiami, tuffi.. La natura nella sua massima espressione!

martedì 22 marzo 2016

Bulbo Matto nel mar di Cortes...e vai con le balene!

In giro per il Mare di Cortes. Ci siamo! Dopo un mese "on the go" con molte notti in navigazione e molto motore, finalmente un ritmo ed un meteo da vera vacanza, poche miglia, buon vento, mare calmo (finora...), e splendide notti all'ancora, nel silenzio ovunque assoluto. Veleggiamo già da qualche giorno in questo mare chiuso, al riparo dalle onde oceaniche, a stiamo imparando a conoscerlo. In questa stagione, a marzo, prima della torrida estate locale, il clima è del tutto simile al Mediterraneo a maggio, tranquillo, fresca l'aria e fresca l'acqua, ma luce e sole già fortissimi, l'estate è alle porte, brezze continuamente variabili, serate stupende. Questo mare ci ricorda anche i paesaggi e la geologia del mar Rosso, le rocce di ogni colore, la rada vegetazione, il deserto dappertutto attorno. Eppure qui è tutto diverso! A terra i cactus candelari sono monumentali, e le mangrovie sono solo tropicali, ma le perturbazioni in arrivo da nord possono perfino innevare le alte montagne. A mare sono i leoni marini a dare spettacolo, si tuffano dalle rocce dietro al gommone, nuotano con noi, veloci come siluri, mentre le razze si vedono (e si sentono, di notte) saltare a decine, anche doppi salti mortali all'indietro, non si sa se cercando di impressionare una femmina, o dalla felicità di averne già trovata una. Quanto alle famose balene, dopo averne viste alcune a Cabo San Lucas, per giorni nulla più, pensavamo già che la maggior parte, dopo aver partorito i piccoli, fosse ormai i viaggio di ritorno verso mari più freddi, e invece oggi tre in dieci minuti, di quelle enormi, che emozione! È un branco di delfini da almeno 100 esemplari! E poi i pellicani, i cormorani e le sule che pescano tutto intorno, e con quale maestria! Tra veleggiate col sole negli occhi, notti all'ancora in rade una più bella dell'altra, e contemplazione della natura, come sempre non ci si annoia mai in barca, e sicuramente non si rimpiange quasi nulla della vita in città...

venerdì 18 marzo 2016

messico seconda parte

Siamo arrivati ieri al famoso Cabo San Lucas, estrema propaggine sud della Baja California, nostra meta di questa stagione di Bulbo Matto, con un misto di sensazioni ed emozioni. Contenti intanto di essere arrivati, dopo una traversata piuttosto dura da Mazatlan, per vento stretto, onde ripide e freddo, ultima tappa delle 1400 miglia navigate quest'anno dal più profondo sud del Messico. Contenti anche di ritrovare caldo e sole, barca ferma e sonno tranquillo: solo il giorno prima, nel porto di Mazatlan, 40 nodi e pioggia fredda e pungente, nella peggiore, pare, perturbazione di questo inverno. Delusi perché Los Cabos è la quintessenza del peggior turismo americano, pieno di teenagers in spring break, turbe ormonali e alcol inclusi, e decine se non centinaia di barche per la pesca d'altura per ricconi emuli di Hemingway. E poi ovviamente resorts e pacchi, tutti esclusivi e vista mare, escursioni a caro prezzo, tipo barche fondo di vetro, crociere a vela al tramonto, aquascooters e via inquinando. Per fortuna però, e in ciò resta la fama del luogo, il mare è bello e pulito, l'aria limpida e fresca, il sole fortissimo e le baie che andremo a scoprire e godere innumerevoli e sicuramente stupende. Questa costa pacifica del Messico così è: resorts ben noti, come Acapulco e Puerto Vallarta dedicati ad un turismo ormai di massa, si alternano a incantevoli baie quasi deserte e cittadine assolutamente messicane, rustiche e sonnacchiose, dove si mangia pesce freschissimo con meno di 8 euro. Gente ovunque immancabilmente gentile e disponibile, una esperienza di vela anche quest'anno piacevolissima, in compagnia di due ottimi compagni, amici e marinai. Alla prossima!

lunedì 29 febbraio 2016

Navigazione in Messico, prima parte

Zihuatenejo ė una cittadina 100% messicana, piccola baia chiusa protetta da ogni vento, tre, quattro spiagge intervallate da rilievi rocciosi, palme e mangrovie. Turisti stranieri non tanti, molti quelli locali, sparsi tra gli alberghetti e i ristoranti nei pressi del Malecon, il bel lungomare alberato un pò ruspante che l'amministrazione ha arricchito efficacemente di spazi pedonali, verde e fiori, statue di personaggi locali caratteristici (il campesino, la lavandaia, i ninos..) e di una campo da basket per partite serali molto seguite tra agguerrite squadre locali. Negozietti di bell'artigianato e souvenirs sovrabbondano rispetto i potenziali acquirenti che, almeno in questa stagione, equamente divisi con pochissime eccezioni tra americani e canadesi, sono in massima parte tranquilli pensionati che pensano sopratutto a godersi la mitezza del clima, l'ottimo cibo a buon mercato e la musica di ogni angolo di strada. Solo 5 o 6 le barche in rada, noi dall'Italia siamo un'assoluta curiosità, si fermano tutti, ci chiedono la nostra rotta, si fa subito amicizia. Quasi nessuno è un vero navigatore magari in rotta verso le isole del sud Pacifico, sono nordamericani che passano qui gli inverni per poi mettere la barca in secca in estate, stagione di troppo caldo e di uragani, e tornare a casa, chi la casa non ce l'ha qui, da qualche parte di questa costa poco antropizzata, lunga da Tijuana al Guatemala più di 3500 km in linea d'aria. Abbiamo già navigato piano piano quasi la metà delle 1400 miglia da Marina Chiapas a La Paz. Dopo Tehuantepec e Huatulco, abbiamo fatto una piacevole sosta a Puerto Angel, paesino turistico e di pescatori, poi una più lunga navigazione ed una piacevole sosta nello stupendo "Clube de yates de Acapulco", città in magnifica posizione e con una stupenda, immacolata spiaggia in una baia ben protetta, tanti albergoni, un mucchio di ville hollywoodiane e un bel clima vacanziero. Più tardi tra poche miglia ci hanno raccomandato un ancoraggio notturno ben protetto dietro l'Isla Grande, ma domani ci aspettano due giorni di fila fino alla Bahia de la Navidad. Ci sarebbero altre baie, isolette e spiagge, varianti dello stesso ambiente tropicale, ci dicono, stesso clima stupendo e piacevole rilassata atmosfera, ma non si può vederle tutte. Magari al ritorno...

mercoledì 10 febbraio 2016

Prove in oceano, prima della traversata del golfo di Tehuantepec

Niente traversata per adesso del famoso e temuto golfo di Tehuantepec, 200 miglia a nord di Marina Chiapas, che ci ospita (ci saranno i soliti 50 nodi fino a domenica, pare), ma giusto un'uscita di prova col nuovo equipaggio intercontinentale (Europa, Asia, America), a (ri)prendere contatto con Bulbo Matto, a dare aria alle vele. E non è stata proprio una passeggiata, col sole a picco e 35° nell'aria. Ma mi ha riempito in cuore lo stesso, sentire la barca navigare nuovamente, gioire delle manovre, ritrovarmi perfettamente a mio agio. La mattina all'alba armare le vele, poi sistemare le ultime cose e salpare e mettere il naso fuori, e dare le istruzioni ai marinai: Jeff, ragazzone USA purosangue, capace, sveglio, siamo da subito in buona sintonia, e Tatt, architetto in pensione di Singapore, un tipo tutto particolare, mette su per l'occasione una mise tecnologica di licra nera con tanto go-pro sul torace, ma è un pò spompato dal caldo e dai problemi intestinali ancora non risolti, un look da super pippo ma in crisi ed in formato tascabile, non proprio super direi... Poi al rientro troviamo due angeli alla banchina, due compagni navigatori uno inglese uno americano, entrambi anni di navigazione alle spalle, ed entrambi in attesa di condizioni migliori per far rotta come noi verso la Baja California, che si offrono di prendersi cura della mia elettronica messa fuori uso dai sedicenti tecnici locali. Con calma e metodo (ci sono sempre 35°..) aprono, guardano, seguono fili e tracce per me del tutto oscure, provano, misurano. Due ore ci sono volute loro per capire e venire a capo dei molteplici problemi, ma alla fine tutto torna quasi per magia a funzionare!

giovedì 4 febbraio 2016

Messico, In attesa del meteo per traversare

I dannati della terra. Il vulcano Tacana segna un tratto del confine tra il Messico ed il Guatemala. Alto 4000 metri, maestoso, fittamente coperto da boschi tropicali, è Riserva della Biosfera da molti anni. Più che da puma e altri animali selvatici che ben meriterebbero di abitarlo (e che probabilmente da qualche parte ancora lo abitano), sue pendici vengono invece percorse ogni giorno da decine e centinaia di Guatemaltechi, su e giù nella stupenda foresta nublada (cioè immersa nella nebbia per la maggior parte del tempo, e quindi al massimo della vegetazione possibile), impegnati in piccolissimi traffici transfrontalieri clandestini. Vengono a vendere verdure e artigianato e a comprare "cositas" da rivendere poi dalle loro parti. Due ore a piedi, giù per un sentiero ridotto a cañón pietroso tra alberi giganteschi, e due ore al ritorno, tutto in salita, con casse o pacchi sulle spalle tenuti con una cinghia alla fronte, come spesso si vede in molti paesi poveri. Come non pensare ai dannati delle miniere d'oro brasiliane fotografati in "Genesis" da Salgado o alle interviste di "Human" di Jann Arthur Bertrand? Ciascuno di questi uomini potrebbe raccontare una storia, di povertà, di aspirazioni minime, a volte di disperazione. Oppure lasciare una traccia toccante su una pellicola magari digitale. Eppure li guardo, nella mia passeggiata da turista, e sono tutti immancabilmente sereni, curiosi di noi, equipaggio Italo-americano-singaporese, assolutamente dignitosi e dignitosamente vestiti. Ci raccontano da dove vengono, cosa fanno e cosa vendono, e nessuno che si lamenti. "Que le vaya bien!" È il loro immancabile saluto...

domenica 31 gennaio 2016

Guatemala, El Olvido, la foresta della biosfera

A sentire il gestore della Casa del Caffè di Copan Ruinas, sulle alte montagne della Sierra de la Minas non si sarebbe nemmeno potuti arrivare. E invece, potenza di facebook, riusciamo a trovare una finca che ha aperto un piccolo hotel con cabanas e cucina. Il masiccio, poderoso, si leva azzurrino sulle valli coltivate a mais, angurie, fagioli, sino ed oltre i duemila. Qui lo smog ed il fumo delle città in basso non arrivano, e come leggiamo dalle guide, dovrebbe vivere ancora il quetzal, simbolo del Guatemala. El Olvido è il nome giusto per questo angolo di mondo agricolo dall'odore forte ed antico, dove i primi visitatori vengono portati su in fuoristada oltre il piccolo villaggio di El Paraiso,la scuola,il fiume con le cataratte, il bosco spinoso e poi, continuando a piedi, la foresta umida in cima, riserva della Biosfera. Arriviamo al grande ranch che la luce è ancora alta, dappertutto animali, razzolano in giro mucche, cavalli, galline, faraone, pavoni, oche e papere...e ovviamente obejite, la gioia dei bambini. In alto volano i rapaci spiegando le ali bianche e nere. Niente tv ed internet finalmente, solo cielo, stelle e bosco. Le cabinas rosse e le staccionate bianche ci ricordano il texas, invece siamo nel centro del Guatemala, lungo la carrettera Atlantica che dalla capitale corre verso il mar dei Caraibi. Città del Guatemala è come previsto, un' immensa capitale del centro America, casupole e inquinamento senza fine per km e km. A El Olvido invece ci sentiamo subito rassicurati, vicini alla terra, questo luogo ci pare resista in equilibrio con se stesso, vita semplice, lavoro dei campi e da un anno i primi turisti dei week end. Le capanne di legno, due camere semplici ed un bagno, hanno solo l' essenziale. La mattina accompagnati da Obtulio, il contadino anziano con cui avevamo fatto due chiacchere la sera prima attorno al falò acceso per noi come vuole il benvenuto locale, ci avviamo in fuoristrada al monte Virgen. Obtulio, 62 anni, 8 figli, vive qui nell' aldea da sempre ed il quetzal lo trova dai rumori e dalle stagioni, seguendo la maturazione dei piccoli avocadi selvatici di cui si ciba. Con il suo affilato machete ci apre la strada tra radici e rami, la foresta copre tutto in poche settimane, ma i sentieri, ci spiega, vanno mantenuti dai proprietari della terra. La finca El OLvido è molto grande, 5 o più caballerias ( misura per noi nno del tutto chiara) e solo lui saprebbe riportarci dopo 2 km di fitti sentieri senza vedere il cielo, sino al pick up che ci aspetta in una radura. Scendendo passiamo per i campi coltivati a caffè, sistemi agroforestali ben tenuti, ed i campi di mais ancora da pulire e riseminare. Maria Josè, la giovane proprietaria, ha deciso di provare il nuovo corso e di investire nella costruzione di casette grandi e piccole, ristorante e perfino una piscinetta naturale per sfruttare le molte sorgenti: questa è la modernità che arriva a piccoli passi, ci racconta, mantenendo la sua flemma latina e gentile, tipica di questa gente che non sembra affatto ossessionata dal bisogno di innovazione spesso superflua! Lasciamo questo paradiso dopo una ricchissima colazione di pan cakes, miele, frutta, uova e fagioli ed un risveglio scandito dai galli: i primi cantano che è ancora buio, alle sette la luce tropicale è già accecante da queste parti. Il tramonto ci aveva incantati con le striature rosa dietra l' immensa pietra jardin, un monolite rosso e nero con profonde striatura su cui ci si arrampica per guardare il panorama su tutta la valle sino ai vulcani in fondo. Questo luogo, anni addietro, sarebbe stato pieno di fiori, ci spiegano, ma il caldo di questi ultimi inverni ha già cambiato le cose. Ma qui al Olvido, del cambiamento climatico e dei problemi globali del pianeta malato, nessuno sembra curarsi, nè Obtulio, che pulisce in silenzio i sentieri con il suo machete, nè Maria che serve ai tavoli, rapida e sorridente. Il suo sorriso e la sua voglia di lasciarci contenti sono il miglior souvenir che questo grande paese di lascia. E noi speriamo che il Guatemala protegga la sua grande natura più di quanto non abbiamo visto, che non rimanga schiacciato dalle sue grandi contraddizioni.

Guatemala, viaggio tra vulcani e natura potente

Dal mio letto, zampilli di lava incandescente, proprio di fronte a noi, dall'altra parte della valle. Siamo in estasi, intimoriti dai boati, incantati dallo spettacolo. Primordiale eppure eterno. Antigua, antica capitale del Guatemala, chiese e monasteri tutti ridotti in rovina da un terremoto nel '700, sorge a 1500 metri, ai piedi di tre vulcani, di cui quello "del Fuego" è sempre in attività. Che proprio oggi ha deciso di presentarsi a noi nel suo massimo vigore. Il "resort" che abbiamo scelto per stanotte è quanto di più rustico si possa immaginare: casette di legno minime, essenziali, sparse in una vasta proprietà tutta di avocado, alcune costruite proprio tra i rami di immense querce, nel silenzio tra la foresta e la campagna attivamente e densamente coltivata e abitata dagli indios campesinos, diretti discendenti dei Maya. Ma gli ultimi due giorni invece, sul lago Atlitlan, abbiamo goduto del massimo del lusso, un ecoresort di altissimo livello a goderci una camera con balcone privato, e tramonti magici di fronte altri tre vulcani di questa terra che ne conta in tutto più di trenta. Certo non è più come quando c'ero stato 35 anni fa, adesso sono auto moto rumori plastica pubblicità rifiuti ovunque, ancor più ossessivi che da noi, ma il mercato di Chchicastenango, affollato di indios nei loro costumi tradizionali, tessuti e ricami colorati, cibi di strada irresistibili, profumi e odori, fiori e ortaggi, è praticamente lo stesso, con le due chiese una di fronte all'altra, ceri, altari Maya alternati a quelli cristiani in una coreografia unica, senza soluzione di continuità. Oggi ci è toccato attraversare Guatemala City, un incubo di traffico, indicazioni inesistenti, camion bus auto fumo nero e puzza insopportabile, passaggio obbligato sulla nostra rotta verso le rovine di Copan appena oltre il confine con l'Honduras. Ma prima, domani, vogliamo esplorare un altro vulcano, l'Ipala, lago nel cratere e foresta intorno, dicono stupendo. Il resto alla prossima puntata...