martedì 22 gennaio 2019

Guatemala via terra

Prima di riprendere il mare, Laura ed io ci concediamo due settimane di vacanza in Centro America. Dal letto, zampilli di lava incandescente, proprio di fronte a noi, dall'altra parte della valle. Siamo in estasi, intimoriti dai boati, incantati dallo spettacolo, primordiale eppure eterno. Antigua, antica capitale del Guatemala, chiese e monasteri tutti ridotti in rovina da un terremoto nel '700, sorge sull'altopiano a 1500 metri, ai piedi di tre vulcani, di cui quello "del Fuego" è sempre in attività. Che proprio oggi ha deciso di presentarsi a noi nel suo massimo vigore. Il "resort" che abbiamo scelto per stanotte è quanto di più rustico si possa immaginare: casette di legno minime, essenziali, sparse in una vasta proprietà tutta di avocado, alcune costruite proprio tra i rami di immense querce, nel silenzio tra la foresta e la campagna attivamente e densamente coltivata e abitata dagli indios campesinos, diretti discendenti dei Maya. 

I precedenti due giorni invece, sul lago Atitlan, abbiamo goduto del massimo del lusso, un ecoresort di altissimo livello a goderci una camera con balcone privato, e tramonti magici di fronte altri tre vulcani di questa terra che ne conta in tutto più di trenta.

Certo non è più come quando c'ero stato 35 anni fa, adesso sono auto moto rumori plastica pubblicità rifiuti ovunque, ancor più ossessivi che da noi, ma il mercato di Chchicastenango, affollato di indios nei loro costumi tradizionali, tessuti e ricami colorati, cibi di strada irresistibili, profumi e odori, fiori e ortaggi, è praticamente lo stesso, con le due chiese una di fronte all'altra, ceri, altari Maya alternati a quelli cristiani in una coreografia unica, senza soluzione di continuità.

Oggi ci è toccato attraversare Guatemala City, un incubo di traffico, indicazioni inesistenti, camion bus auto fumo nero e puzza insopportabile, passaggio obbligato sulla nostra rotta verso le rovine di Copan appena oltre il confine con l'Honduras. Ma prima, domani, vogliamo esplorare un altro vulcano, l'Ipala, lago nel cratere e foresta intorno, dicono stupendo. 


Guatemala parte seconda (con escursione in Honduras)

Copan ė insieme a Tikal il sito Maya più importante del mesoamerica. E Copan Ruinas il paesello turistico sorto nelle vicinanze. Tranquillo, stradine in ciottoli di fiume piuttosto sconnessi come quelli di Antigua Guatemala, parecchi alberghi, pochi turisti in questa stagione, in una verde valle tutta boschi e campi, popolata almeno sin dal 1400 avanti Cristo.

Abbiamo lasciato l'auto alla frontiera e l'abbiamo attraversata a piedi, con uno zaino ridotto al minimo, per poi prendere un minibus per i pochi chilometri fino a Copan Ruinas. L'Honduras non ha una gran fama di Paese tranquillo e sicuro, ma questa zona lo è, ed e molto gradevole pure. Visitare le rovine, splendore dei secoli dal VIIIº al XIIº AD, apprendere qualcosa della loro cultura, apprezzare le sculture e i geroglifici, immaginare quei tempi remoti, è stato emozionante. Ma anche passeggiare nella valle dei pappagalli ara rossi gialli e blu e vederli volare in gruppo, raggi di colore nel verde, e poi trovare la temperatura giusta per stare tre ore a mollo nelle acque calde vulcaniche nella foresta, ci hanno fatto molto apprezzare quest'angolo del Paese. 

Tornati in Guatemala, abbiamo evitato alcune cittadine improponibili, commercio e sporcizia e nulla più, e siamo saliti ancora in montagna, sulle pendici della Sierra de las Minas, una Riserva della Biosfera di cui non vi è praticamente nulla sul web, prendendo alloggio in una delle capanne tutte di legno dell'unica struttura turistica (veramente eco..) che abbiamo trovato. Boschi tropicali tutto intorno, prati laghetti e animali in libertà, passeggiate a cercare i quezals (uccelli variopinti simbolo del Paese) e a godere il sole gli alberi ed il silenzio. 


Due giorni, sempre troppo pochi, domani si torna in Messico e poi Laura volerà a casa ed io finalmente a vela!!!

lunedì 14 gennaio 2019

Come si fa a raccontare l'oceano?

L'emozione di una visione, una manta enorme appena sotto la barca, un gruppo di balenottere che ti passa accanto, i coni vulcanici piccoli e grandi di Isabela, gli uccelli marini che si lavano al mattino nella tua baia, la loro pesca in picchiata, il loro sguardo incuriosito quando volano intorno alla barca, il frullo di una minuscola rondine di mare a centinaia di miglia dalla costa più vicina, la luce dell'alba tra le nuvole e di taglio sulle colate nere di lava, le stelle che improvvisamente bucano le nuvole cariche di pioggia e ti avvolgono e si specchiano nelle stelle del plancton attorno a noi.

Come si fa a raccontare tutto ciò? 

L'oceano è tutto questo, è il silenzio della natura, sono le nuvole sempre diverse, le onde che ci spingono a volte ci respingono, il vento capriccioso della zona equatoriale, le albe i tramonti, i pesci le razze le foche i delfini che saltano qui e là, quasi di felicità. Questo è l'oceano, ma ogni momento in oceano è così, una continua sorpresa, una costante felicità, anche nella pioggia e nel buio pesto della scorsa notte, anche nella calda piatta assolata di oggi, perché dopo c'è questo scivolare nel tramonto, anche a 3 nodi, anche a 2, pazienza, il vento verrà, intanto godiamoci il silenzio, l'aria, la luce, la pace di questo momento unico.

PS: questo scritto ieri. Stanotte una stellata stupenda senza luna, all'alba Darwin, l'ultima della Galapagos, con il suo arco sul mare, e adesso un bel vento da 10 nodi e più di uno di corrente, tutto a favore, e pieno sole! Un fantastico andare!


Come si fa a raccontare l'Oceano? Capitolo 2

L'Oceano in questa traversata di 1000 miglia è soprattutto poca aria e tanta variabilità, e quindi tanto lavoro su Bulbo Matto, che sa ben cavarsela con le sue generose vele. E tanto caldo di giorno, e di pomeriggio e di notte spesso rovesci di pioggia come cascate, tuoni e fulmini parecchio inquietanti, groppi di vento da 30 nodi che magari durano mezz'ora e poi calma piatta per ore: una bella scuola di vela!

E allora scruta le nuvole, studia il meteo, vedi se riesci ad evitare un nuvolone nero come la pece, fai camminare la barca anche se ci sono neanche 6 nodi di vento, metti il gennaker, leva il gennaker e vai di genoa, metti terzaroli, leva terzaroli, metti la cerata, chiudi tutti gli oblò, poi apri tutti gli oblò e metti tutto ad asciugare. E poi cucina, pulisci, fatti la barba, aggiusta qualcosa, verifica qualcos'altro, manda una mail col satellitare. Insomma il lavoro non ci manca proprio! Almeno non ci sono onde ed il mare è liscio come il Mediterraneo d'estate! Ma in completa solitudine: neanche una barca né una nave in vista.. 

 E poi bisogna dormire! Ci alterniamo due ore sì e due no, tutte le notti e anche di giorno, appena ci si chiudono gli occhi... 

Meno male che Sam è un grande, uno che ha fatto un giro del mondo in regata, uno che quando esci mezzo stravolto alle 3 di notte per il tuo turno di guardia, quando gli chiedi come va, con la barca forse un po' troppo invelata ed ingavonata che fila a 7 nodi nella notte più buia che puoi immaginare, con la pioggia che minaccia ad i fulmini che scoppiano accecanti poco lontano, con tono felice è capace di dirti: "How does it go? Lovely!"... Solo un inglese può uscirsene con una tale espressione in un momento così e a quest'ora!

Comunque sia, oggi, all'inizio del quinto giorno, siamo circa a metà strada, avendo consumato finora poco più di 100 litri di gasolio dei 400 che abbiamo a bordo. Una media di 5 nodi, 120 miglia al giorno, non male, date le condizioni. Il vento è appena una brezza di 5-8 nodi, ma noi scivoliamo verso nord sulla nostra rotta a 3-5 di velocità. Meno male che da quando siamo partiti abbiamo avuto sempre una robusta corrente a favore!


Come Si fa a raccontare l'oceano? Capitolo 3

E poi ci può essere mal tempo...

La linea dell'orizzonte ieri notte era tutta lampi. Sam mi sveglia e mi invita a studiare la situazione: un bombardamento spaventoso. Proprio di fronte a noi, tra nuvole nere come la pece, inaggirabile, ad una distanza forse di 10 miglia, si poteva solo tornare indietro alle Galapagos. Oppure affrontarlo. Ancora avevamo le stelle sopra di noi, e vento moderato da gran lasco. Non sentivamo ancora neanche un tuono. Ma che sarebbe successo ad entrarci dentro? C'erano 4-5 centri di attività principali, forse con un po' di fortuna ci si poteva passare in mezzo. Ci saremmo arrivati in un paio d'ore o giù di lì. Amici miei che erano stati colpiti da fulmini avevano avuto l'elettronica bruciata, impianti elettrici fuori uso e via discorrendo. Per precauzione mettiamo computer e satellitare dentro il forno: metallico, farà da gabbia di Faraday, proteggendoli. Intanto abbiamo rollato il genoa e rallentato ad osservare l'evoluzione e riflettere sul da farsi. I centri d'attività si spostavano lentamente verso ovest, troppo lentamente. Dopo un po' ci siamo fatti coraggio, abbiamo ripreso velocità e ci siamo diretti lì nel mezzo, provando a calcolare di infilarci tra due di questi. Man mano che ci avvicinavamo, la cosa sembrava possibile, ne abbiamo evitato uno, quello dopo sembrava abbastanza lontano, alla nostra destra. Ci siamo detti: se riusciamo a passare sotto quella coda nera di nuvole forse ce la facciamo, si vedono di nuovo le stelle, dietro.

Ma più ci avvicinavamo e più questa coda nera si ingrandiva e si fondeva con l'ammasso incandescente di nuvole che lo seguiva. A un certo punto i lampi erano così ravvicinati, erano ormai sopra di noi, niente tuoni ma era luce quasi di continuo, un'atmosfera agghiacciante e surreale.

Intanto da tempo avevamo prudentemente ridotto la randa con due mani di terzaroli e rollato metà del fiocco. Viaggiavamo bene, speravamo di esserne fuori presto, anche se l'obiettivo e le stelle dall'altra parte sembravano allontanarsi invece che avvicinarsi.. A un certo punto le nuvole sopra di noi, quelle oltre le quali forse c'era la fine di questo gioco di fuoco, erano così nere e grosse, che ci sembrava di stare passando sotto la campata di un ponte, sotto un tetto di cemento. Istintivamente abbassavamo la testa per non sbatterci contro. 

Invece la sorpresa dell'oceano era proprio lì sotto: un groppo improvviso, gelido, ci piomba addosso, la barca parte a gran velocità, grido a Sam che era al timone di tenere la rotta e di poggiare un po', mi precipito sul rollafiocco e smanetto sul winch, lo tiro dentro a fatica. Poi gli passo la drizza della randa e corro all'albero a tirarla giù, per fortuna scende libera, un cursore dopo l'altro, una gran fatica ma senza intoppi, in un fracasso violento di sbattere di tela. Quando siamo senza vele ci ritroviamo in pozzetto ansimanti ma sollevati, mentre il groppo continua, sicuramente sono più di 50 nodi, spruzzi vaporizzati sopra e intorno, ma ormai non c'è più nessun pericolo. C'è chi ha disalberato per aver ritardato troppo manovre come queste, in simili situazioni. O distrutto vele e attrezzatura. Ci guardiamo negli occhi, la luce certo non manca, batti 5 Sam! Con te potremmo andare ovunque! 

Il resto della notte passa tranquilla, rimettiamo vela a poco a poco. Però il pilota non funziona più, ci tocca stare al timone tutto il tempo. Anche il giorno dopo e l'ultima notte passano tranquille, anche se il sonno e la fatica cominciano a farsi sentire. Sam a un certo punto si è addormentato qualche secondo pure in piedi! Una vera battaglia. Alle 10 della mattina dopo, diamo motore senza più vento, la costa è a 70 miglia ormai e c'è un magnifico sole, praticamente siamo arrivati... 


Anche l'arrivo in porto a Tapachula, Messico, con due metri d'onda, a mezzanotte e con un brutto temporale in avvicinamento è stato piuttosto adrelalinico, ma abbiamo trovato Marina Chiapas bello, con personale disponibile e simpatico, molto caldo ma bella sensazione del rifugio, della sicurezza e del mare ... fermo, finalmente, è impagabile! Sistemato nei giorni successivi Bulbo Matto in secca per quest'anno, siamo volati a casa, con ancora negli occhi e nel cuore questa fantastica, indimenticabile traversata di 1000 miglia in equipaggio ridotto, la mia seconda più lunga, ma certamente la più bella finora...