lunedì 29 febbraio 2016
Navigazione in Messico, prima parte
Zihuatenejo ė una cittadina 100% messicana, piccola baia chiusa protetta da ogni vento, tre, quattro spiagge intervallate da rilievi rocciosi, palme e mangrovie. Turisti stranieri non tanti, molti quelli locali, sparsi tra gli alberghetti e i ristoranti nei pressi del Malecon, il bel lungomare alberato un pò ruspante che l'amministrazione ha arricchito efficacemente di spazi pedonali, verde e fiori, statue di personaggi locali caratteristici (il campesino, la lavandaia, i ninos..) e di una campo da basket per partite serali molto seguite tra agguerrite squadre locali. Negozietti di bell'artigianato e souvenirs sovrabbondano rispetto i potenziali acquirenti che, almeno in questa stagione, equamente divisi con pochissime eccezioni tra americani e canadesi, sono in massima parte tranquilli pensionati che pensano sopratutto a godersi la mitezza del clima, l'ottimo cibo a buon mercato e la musica di ogni angolo di strada.
Solo 5 o 6 le barche in rada, noi dall'Italia siamo un'assoluta curiosità, si fermano tutti, ci chiedono la nostra rotta, si fa subito amicizia. Quasi nessuno è un vero navigatore magari in rotta verso le isole del sud Pacifico, sono nordamericani che passano qui gli inverni per poi mettere la barca in secca in estate, stagione di troppo caldo e di uragani, e tornare a casa, chi la casa non ce l'ha qui, da qualche parte di questa costa poco antropizzata, lunga da Tijuana al Guatemala più di 3500 km in linea d'aria.
Abbiamo già navigato piano piano quasi la metà delle 1400 miglia da Marina Chiapas a La Paz. Dopo Tehuantepec e Huatulco, abbiamo fatto una piacevole sosta a Puerto Angel, paesino turistico e di pescatori, poi una più lunga navigazione ed una piacevole sosta nello stupendo "Clube de yates de Acapulco", città in magnifica posizione e con una stupenda, immacolata spiaggia in una baia ben protetta, tanti albergoni, un mucchio di ville hollywoodiane e un bel clima vacanziero.
Più tardi tra poche miglia ci hanno raccomandato un ancoraggio notturno ben protetto dietro l'Isla Grande, ma domani ci aspettano due giorni di fila fino alla Bahia de la Navidad. Ci sarebbero altre baie, isolette e spiagge, varianti dello stesso ambiente tropicale, ci dicono, stesso clima stupendo e piacevole rilassata atmosfera, ma non si può vederle tutte. Magari al ritorno...
mercoledì 10 febbraio 2016
Prove in oceano, prima della traversata del golfo di Tehuantepec
Niente traversata per adesso del famoso e temuto golfo di Tehuantepec, 200 miglia a nord di Marina Chiapas, che ci ospita (ci saranno i soliti 50 nodi fino a domenica, pare), ma giusto un'uscita di prova col nuovo equipaggio intercontinentale (Europa, Asia, America), a (ri)prendere contatto con Bulbo Matto, a dare aria alle vele. E non è stata proprio una passeggiata, col sole a picco e 35° nell'aria. Ma mi ha riempito in cuore lo stesso, sentire la barca navigare nuovamente, gioire delle manovre, ritrovarmi perfettamente a mio agio. La mattina all'alba armare le vele, poi sistemare le ultime cose e salpare e mettere il naso fuori, e dare le istruzioni ai marinai: Jeff, ragazzone USA purosangue, capace, sveglio, siamo da subito in buona sintonia, e Tatt, architetto in pensione di Singapore, un tipo tutto particolare, mette su per l'occasione una mise tecnologica di licra nera con tanto go-pro sul torace, ma è un pò spompato dal caldo e dai problemi intestinali ancora non risolti, un look da super pippo ma in crisi ed in formato tascabile, non proprio super direi...
Poi al rientro troviamo due angeli alla banchina, due compagni navigatori uno inglese uno americano, entrambi anni di navigazione alle spalle, ed entrambi in attesa di condizioni migliori per far rotta come noi verso la Baja California, che si offrono di prendersi cura della mia elettronica messa fuori uso dai sedicenti tecnici locali.
Con calma e metodo (ci sono sempre 35°..) aprono, guardano, seguono fili e tracce per me del tutto oscure, provano, misurano. Due ore ci sono volute loro per capire e venire a capo dei molteplici problemi, ma alla fine tutto torna quasi per magia a funzionare!
giovedì 4 febbraio 2016
Messico, In attesa del meteo per traversare
I dannati della terra.
Il vulcano Tacana segna un tratto del confine tra il Messico ed il Guatemala. Alto 4000 metri, maestoso, fittamente coperto da boschi tropicali, è Riserva della Biosfera da molti anni. Più che da puma e altri animali selvatici che ben meriterebbero di abitarlo (e che probabilmente da qualche parte ancora lo abitano), sue pendici vengono invece percorse ogni giorno da decine e centinaia di Guatemaltechi, su e giù nella stupenda foresta nublada (cioè immersa nella nebbia per la maggior parte del tempo, e quindi al massimo della vegetazione possibile), impegnati in piccolissimi traffici transfrontalieri clandestini. Vengono a vendere verdure e artigianato e a comprare "cositas" da rivendere poi dalle loro parti. Due ore a piedi, giù per un sentiero ridotto a cañón pietroso tra alberi giganteschi, e due ore al ritorno, tutto in salita, con casse o pacchi sulle spalle tenuti con una cinghia alla fronte, come spesso si vede in molti paesi poveri.
Come non pensare ai dannati delle miniere d'oro brasiliane fotografati in "Genesis" da Salgado o alle interviste di "Human" di Jann Arthur Bertrand? Ciascuno di questi uomini potrebbe raccontare una storia, di povertà, di aspirazioni minime, a volte di disperazione. Oppure lasciare una traccia toccante su una pellicola magari digitale.
Eppure li guardo, nella mia passeggiata da turista, e sono tutti immancabilmente sereni, curiosi di noi, equipaggio Italo-americano-singaporese, assolutamente dignitosi e dignitosamente vestiti. Ci raccontano da dove vengono, cosa fanno e cosa vendono, e nessuno che si lamenti.
"Que le vaya bien!" È il loro immancabile saluto...
domenica 31 gennaio 2016
Guatemala, El Olvido, la foresta della biosfera
A sentire il gestore della Casa del Caffè di Copan Ruinas, sulle alte montagne della Sierra de la Minas non si sarebbe nemmeno potuti arrivare. E invece, potenza di facebook, riusciamo a trovare una finca che ha aperto un piccolo hotel con cabanas e cucina. Il masiccio, poderoso, si leva azzurrino sulle valli coltivate a mais, angurie, fagioli, sino ed oltre i duemila. Qui lo smog ed il fumo delle città in basso non arrivano, e come leggiamo dalle guide, dovrebbe vivere ancora il quetzal, simbolo del Guatemala. El Olvido è il nome giusto per questo angolo di mondo agricolo dall'odore forte ed antico, dove i primi visitatori vengono portati su in fuoristada oltre il piccolo villaggio di El Paraiso,la scuola,il fiume con le cataratte, il bosco spinoso e poi, continuando a piedi, la foresta umida in cima, riserva della Biosfera. Arriviamo al grande ranch che la luce è ancora alta, dappertutto animali, razzolano in giro mucche, cavalli, galline, faraone, pavoni, oche e papere...e ovviamente obejite, la gioia dei bambini. In alto volano i rapaci spiegando le ali bianche e nere. Niente tv ed internet finalmente, solo cielo, stelle e bosco. Le cabinas rosse e le staccionate bianche ci ricordano il texas, invece siamo nel centro del Guatemala, lungo la carrettera Atlantica che dalla capitale corre verso il mar dei Caraibi. Città del Guatemala è come previsto, un' immensa capitale del centro America, casupole e inquinamento senza fine per km e km. A El Olvido invece ci sentiamo subito rassicurati, vicini alla terra, questo luogo ci pare resista in equilibrio con se stesso, vita semplice, lavoro dei campi e da un anno i primi turisti dei week end. Le capanne di legno, due camere semplici ed un bagno, hanno solo l' essenziale. La mattina accompagnati da Obtulio, il contadino anziano con cui avevamo fatto due chiacchere la sera prima attorno al falò acceso per noi come vuole il benvenuto locale, ci avviamo in fuoristrada al monte Virgen. Obtulio, 62 anni, 8 figli, vive qui nell' aldea da sempre ed il quetzal lo trova dai rumori e dalle stagioni, seguendo la maturazione dei piccoli avocadi selvatici di cui si ciba. Con il suo affilato machete ci apre la strada tra radici e rami, la foresta copre tutto in poche settimane, ma i sentieri, ci spiega, vanno mantenuti dai proprietari della terra. La finca El OLvido è molto grande, 5 o più caballerias ( misura per noi nno del tutto chiara) e solo lui saprebbe riportarci dopo 2 km di fitti sentieri senza vedere il cielo, sino al pick up che ci aspetta in una radura. Scendendo passiamo per i campi coltivati a caffè, sistemi agroforestali ben tenuti, ed i campi di mais ancora da pulire e riseminare. Maria Josè, la giovane proprietaria, ha deciso di provare il nuovo corso e di investire nella costruzione di casette grandi e piccole, ristorante e perfino una piscinetta naturale per sfruttare le molte sorgenti: questa è la modernità che arriva a piccoli passi, ci racconta, mantenendo la sua flemma latina e gentile, tipica di questa gente che non sembra affatto ossessionata dal bisogno di innovazione spesso superflua! Lasciamo questo paradiso dopo una ricchissima colazione di pan cakes, miele, frutta, uova e fagioli ed un risveglio scandito dai galli: i primi cantano che è ancora buio, alle sette la luce tropicale è già accecante da queste parti. Il tramonto ci aveva incantati con le striature rosa dietra l' immensa pietra jardin, un monolite rosso e nero con profonde striatura su cui ci si arrampica per guardare il panorama su tutta la valle sino ai vulcani in fondo. Questo luogo, anni addietro, sarebbe stato pieno di fiori, ci spiegano, ma il caldo di questi ultimi inverni ha già cambiato le cose. Ma qui al Olvido, del cambiamento climatico e dei problemi globali del pianeta malato, nessuno sembra curarsi, nè Obtulio, che pulisce in silenzio i sentieri con il suo machete, nè Maria che serve ai tavoli, rapida e sorridente. Il suo sorriso e la sua voglia di lasciarci contenti sono il miglior souvenir che questo grande paese di lascia. E noi speriamo che il Guatemala protegga la sua grande natura più di quanto non abbiamo visto, che non rimanga schiacciato dalle sue grandi contraddizioni.
Guatemala, viaggio tra vulcani e natura potente
Dal mio letto, zampilli di lava incandescente, proprio di fronte a
noi, dall'altra parte della valle. Siamo in estasi, intimoriti dai
boati, incantati dallo spettacolo. Primordiale eppure eterno. Antigua,
antica capitale del Guatemala, chiese e monasteri tutti ridotti in
rovina da un terremoto nel '700, sorge a 1500 metri, ai piedi di tre
vulcani, di cui quello "del Fuego" è sempre in attività. Che proprio
oggi ha deciso di presentarsi a noi nel suo massimo vigore. Il
"resort" che abbiamo scelto per stanotte è quanto di più rustico si
possa immaginare: casette di legno minime, essenziali, sparse in una
vasta proprietà tutta di avocado, alcune costruite proprio tra i rami
di immense querce, nel silenzio tra la foresta e la campagna
attivamente e densamente coltivata e abitata dagli indios campesinos,
diretti discendenti dei Maya.
Ma gli ultimi due giorni invece, sul lago Atlitlan, abbiamo goduto del
massimo del lusso, un ecoresort di altissimo livello a goderci una
camera con balcone privato, e tramonti magici di fronte altri tre
vulcani di questa terra che ne conta in tutto più di trenta.
Certo non è più come quando c'ero stato 35 anni fa, adesso sono auto
moto rumori plastica pubblicità rifiuti ovunque, ancor più ossessivi
che da noi, ma il mercato di Chchicastenango, affollato di indios nei
loro costumi tradizionali, tessuti e ricami colorati, cibi di strada
irresistibili, profumi e odori, fiori e ortaggi, è praticamente lo
stesso, con le due chiese una di fronte all'altra, ceri, altari Maya
alternati a quelli cristiani in una coreografia unica, senza soluzione
di continuità.
Oggi ci è toccato attraversare Guatemala City, un incubo di traffico,
indicazioni inesistenti, camion bus auto fumo nero e puzza
insopportabile, passaggio obbligato sulla nostra rotta verso le rovine
di Copan appena oltre il confine con l'Honduras. Ma prima, domani,
vogliamo esplorare un altro vulcano, l'Ipala, lago nel cratere e
foresta intorno, dicono stupendo. Il resto alla prossima puntata...
domenica 24 maggio 2015
e poi cè la tempesta, fulmini e groppi da attraversare...o tornare indietro
E poi, in oceano capita che ci può essere mal tempo...
La linea dell'orizzonte ieri notte era tutta lampi. Sembrava un bombardamento spaventoso. Ed era di fronte a noi, tra nuvole nere come la pece, inaggirabile, ad una distanza forse di 10 miglia, si poteva solo tornare indietro alle Galapagos. Oppure affrontarlo. Ancora avevamo le stelle sopra di noi, e vento moderato da gran lasco. Non sentivamo ancora neanche un tuono. Ma che sarebbe successo ad entrarci dentro? C'erano 4-5 centri di attività principali, forse con un po' di fortuna ci si poteva passare in mezzo. Ci saremmo arrivati in un paio d'ore o giù di lì. Amici miei che erano stati colpiti da fulmini avevano avuto elettronica bruciata, impianti elettrici fuori uso e via discorrendo. Intanto abbiamo rollato il genoa e rallentato ad osservare l'evoluzione e riflettere sul da farsi. I centri d'attività si spostavano lentamente verso sinistra, troppo lentamente. Dopo un po' ci siamo fatti coraggio, abbiamo ripreso velocità e ci siamo diretti lì nel mezzo, provando a calcolare di infilarci tra due di questi. Man mano che ci avvicinavamo, la cosa sembrava possibile, ne abbiamo evitato uno, quello dopo sembrava abbastanza lontano, alla nostra destra. Ci siamo detti: se riusciamo a passare sotto quella coda nera di nuvole forse c'è la facciamo, si vedono di nuovo le stelle, dietro.
Ma più ci avvicinavamo e più questa coda nera si ingrandiva e si fondeva con l'ammasso incandescente di nuvole che lo seguiva. A un certo punto i lampi erano così ravvicinati, ed erano ormai sopra di noi, che era luce quasi di continuo, un'atmosfera agghiacciante e surreale.
Intanto da tempo avevamo prudentemente ridotto la randa con due mani di terzaroli e rollato metà del fiocco. Viaggiavamo bene, speravamo di esserne fuori presto, anche se l'obiettivo e le stelle dall'altra parte sembravano allontanarsi invece che avvicinarsi.. A un certo punto le nuvole sopra di noi, quelle oltre le quali forse c'era la fine di questo gioco di fuoco, erano così nere e grosse, che ci sembrava di stare passando sotto la campata di un ponte, sotto un tetto di cemento. Istintivamente abbassavamo la testa per non sbatterla.
Invece la sorpresa dell'oceano era proprio lì sotto: un groppo improvviso ci piomba addosso, la barca parte a gran velocità, grido a Sam che era al timone di tenere la rotta e di poggiare un po', mi precipito sul rollafiocco e smanetto sul winch, lo tiro dentro a fatica. Poi gli passo la drizza della randa e corro all'albero a tirarla giù, per fortuna scende libera, un cursore dopo l'altro, una gran fatica ma senza intoppi, in un fracasso violento di sbattere di tela. Quando siamo senza vele ci ritroviamo in pozzetto ansimanti ma sollevati, mentre il groppo continua, sicuramente sono più di 50 nodi, spruzzi vaporizzati sopra e intorno, ma ormai non c'è più nessun pericolo. C'è chi ha disalberato per aver ritardato troppo manovre come queste, in simili situazioni. O distrutto vele e attrezzatura. Ci guardiamo negli occhi, la luce certo non manca, batti 5 Sam! Con te potremmo andare ovunque!
PS: il resto della notte passa tranquilla, rimettiamo vela a poco a poco. Però il pilota non funziona più, ci tocca stare al timone tutto il tempo. Anche il giorno dopo e questa ultima notte passano tranquille, anche se il sonno comincia a farsi sentire. Sam a un certo punto si è addormentato qualche secondo pure in piedi! Una vera battaglia. Sono le 10 della mattina dopo, diamo motore senza più vento, la costa è a 70 miglia ormai e c'è un magnifico sole, praticamente siamo arrivati...
giovedì 21 maggio 2015
Navigare di notte, tra bonacce e fulmini:meno male che c'è Sam
Come si fa a raccontare l'Oceano? Già, perché ogni medaglia ha il suo rovescio...
L'Oceano in questa traversata di 1000 miglia dalle Galapagos al Mexico è soprattutto poca aria e tanta variabilità, e quindi tanto lavoro su Bulbo Matto, che deve cavarsela per lo più con le sue generose vele, non avendo abbastanza carburante per farne più di tante a motore. E tanto caldo di giorno, e di pomeriggio e di notte spesso rovesci di pioggia come cascate, tuoni e fulmini parecchio inquietanti, groppi di vento da 30 nodi che magari durano mezz'ora e poi magari calma piatta per ore: una bella scuola di vela nei dintorni dell'equatore!
E allora scruta le nuvole, studia il meteo, vedi se riesci ad evitare un nuvolone nero come la pece, fai camminare la barca anche se ci sono neanche 6 nodi di vento, metti il gennaker, leva il gennaker e vai di genoa, metti terzaroli, leva terzaroli, metti la cerata, chiudi tutti gli oblò, poi apri tutti gli oblò e metti tutto ad asciugare. E poi cucina, pulisci, fatti la barba, aggiusta qualcosa, verifica qualcos'altro, manda una mail col satellitare. Insomma il lavoro non ci manca proprio! Almeno non ci sono onde ed il mare è liscio come il Mediterraneo d'estate!
E poi bisogna dormire! Già, perché siamo solo in due, io e Sam, e ci tocca dormire due ore sì e due no, tutte le notti e anche di giorno, appena ti si chiudono gli occhi...
Meno male che Sam è un grande, uno che ha fatto un giro del mondo in regata, uno che quando esci mezzo stravolto alle 3 di notte per il tuo turno di guardia, quando gli chiedi come va, con la barca forse un po' troppo invelata ed ingavonata che fila a 7 nodi nella notte più buia che puoi immaginare, con la pioggia che minaccia ad i fulmini che scoppiano accecanti poco lontano, con tono felice è capace di dirti: "How does it go? Lovely!"... Solo un inglese purosangue può uscirsene con una tale espressione in un momento così e a quest'ora!
Comunque sia, oggi, all'inizio del quinto giorno, siamo circa a metà strada, avendo consumato finora poco più di 100 litri di gasolio dei 400 che abbiamo a bordo. Una media di 5 nodi, 120 miglia al giorno, non male, date le condizioni. Il vento è appena una brezza di 5-8 nodi, ma noi scivoliamo verso nord, sulla nostra rotta, a 3-5 di velocità. Meno male che da quando siamo partiti abbiamo avuto sempre una robusta corrente a favore!
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