domenica 31 gennaio 2016

Guatemala, El Olvido, la foresta della biosfera

A sentire il gestore della Casa del Caffè di Copan Ruinas, sulle alte montagne della Sierra de la Minas non si sarebbe nemmeno potuti arrivare. E invece, potenza di facebook, riusciamo a trovare una finca che ha aperto un piccolo hotel con cabanas e cucina. Il masiccio, poderoso, si leva azzurrino sulle valli coltivate a mais, angurie, fagioli, sino ed oltre i duemila. Qui lo smog ed il fumo delle città in basso non arrivano, e come leggiamo dalle guide, dovrebbe vivere ancora il quetzal, simbolo del Guatemala. El Olvido è il nome giusto per questo angolo di mondo agricolo dall'odore forte ed antico, dove i primi visitatori vengono portati su in fuoristada oltre il piccolo villaggio di El Paraiso,la scuola,il fiume con le cataratte, il bosco spinoso e poi, continuando a piedi, la foresta umida in cima, riserva della Biosfera. Arriviamo al grande ranch che la luce è ancora alta, dappertutto animali, razzolano in giro mucche, cavalli, galline, faraone, pavoni, oche e papere...e ovviamente obejite, la gioia dei bambini. In alto volano i rapaci spiegando le ali bianche e nere. Niente tv ed internet finalmente, solo cielo, stelle e bosco. Le cabinas rosse e le staccionate bianche ci ricordano il texas, invece siamo nel centro del Guatemala, lungo la carrettera Atlantica che dalla capitale corre verso il mar dei Caraibi. Città del Guatemala è come previsto, un' immensa capitale del centro America, casupole e inquinamento senza fine per km e km. A El Olvido invece ci sentiamo subito rassicurati, vicini alla terra, questo luogo ci pare resista in equilibrio con se stesso, vita semplice, lavoro dei campi e da un anno i primi turisti dei week end. Le capanne di legno, due camere semplici ed un bagno, hanno solo l' essenziale. La mattina accompagnati da Obtulio, il contadino anziano con cui avevamo fatto due chiacchere la sera prima attorno al falò acceso per noi come vuole il benvenuto locale, ci avviamo in fuoristrada al monte Virgen. Obtulio, 62 anni, 8 figli, vive qui nell' aldea da sempre ed il quetzal lo trova dai rumori e dalle stagioni, seguendo la maturazione dei piccoli avocadi selvatici di cui si ciba. Con il suo affilato machete ci apre la strada tra radici e rami, la foresta copre tutto in poche settimane, ma i sentieri, ci spiega, vanno mantenuti dai proprietari della terra. La finca El OLvido è molto grande, 5 o più caballerias ( misura per noi nno del tutto chiara) e solo lui saprebbe riportarci dopo 2 km di fitti sentieri senza vedere il cielo, sino al pick up che ci aspetta in una radura. Scendendo passiamo per i campi coltivati a caffè, sistemi agroforestali ben tenuti, ed i campi di mais ancora da pulire e riseminare. Maria Josè, la giovane proprietaria, ha deciso di provare il nuovo corso e di investire nella costruzione di casette grandi e piccole, ristorante e perfino una piscinetta naturale per sfruttare le molte sorgenti: questa è la modernità che arriva a piccoli passi, ci racconta, mantenendo la sua flemma latina e gentile, tipica di questa gente che non sembra affatto ossessionata dal bisogno di innovazione spesso superflua! Lasciamo questo paradiso dopo una ricchissima colazione di pan cakes, miele, frutta, uova e fagioli ed un risveglio scandito dai galli: i primi cantano che è ancora buio, alle sette la luce tropicale è già accecante da queste parti. Il tramonto ci aveva incantati con le striature rosa dietra l' immensa pietra jardin, un monolite rosso e nero con profonde striatura su cui ci si arrampica per guardare il panorama su tutta la valle sino ai vulcani in fondo. Questo luogo, anni addietro, sarebbe stato pieno di fiori, ci spiegano, ma il caldo di questi ultimi inverni ha già cambiato le cose. Ma qui al Olvido, del cambiamento climatico e dei problemi globali del pianeta malato, nessuno sembra curarsi, nè Obtulio, che pulisce in silenzio i sentieri con il suo machete, nè Maria che serve ai tavoli, rapida e sorridente. Il suo sorriso e la sua voglia di lasciarci contenti sono il miglior souvenir che questo grande paese di lascia. E noi speriamo che il Guatemala protegga la sua grande natura più di quanto non abbiamo visto, che non rimanga schiacciato dalle sue grandi contraddizioni.

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