mercoledì 13 febbraio 2019

I dannati della terra



Il vulcano Tacana, nell'entroterra di Tapachula, segna un tratto del confine tra il Messico ed il Guatemala. Alto 4000 metri, maestoso, fittamente coperto da boschi tropicali, è Riserva della Biosfera da molti anni. Più che da puma e altri animali selvatici che ben meriterebbero di abitarlo (e che probabilmente da qualche parte ancora lo abitano), le sue pendici vengono invece percorse ogni giorno da decine e centinaia di Guatemaltechi, su e giù nella stupenda foresta nublada (cioè immersa nella nebbia per la maggior parte del tempo, e quindi al massimo della umidità e della vegetazione possibile), impegnati in piccolissimi traffici transfrontalieri clandestini. Vengono a vendere verdure e artigianato e a comprare "cositas" da rivendere poi dalle loro parti. Due ore a piedi, giù per un sentiero ridotto a cañón pietroso tra alberi giganteschi, e due ore al ritorno, tutto in salita, con casse o pacchi sulle spalle tenuti con una cinghia alla fronte, come spesso si vede in molti paesi poveri.

Come non pensare ai dannati delle miniere d'oro brasiliane fotografati in "Genesis" da Salgado o alle interviste di "Human" di Jan Arthur Bertrand? Ciascuno di questi uomini potrebbe raccontare una storia, di povertà, di aspirazioni minime, a volte di disperazione. Oppure lasciare una traccia toccante su una pellicola digitale. 


Eppure li guardo, nella mia passeggiata da turista, e sono tutti immancabilmente sereni, curiosi di noi, equipaggio Italo-americano-singaporese, assolutamente dignitosi e dignitosamente vestiti. Ci raccontano da dove vengono, cosa fanno e cosa vendono, e nessuno che si lamenti. "Que le vaya bien!" È il loro immancabile saluto...

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