giovedì 27 dicembre 2018

Oceano, finalmente!

1000 miglia di traversata ormai non ci preoccupano più. Ne abbiamo fatte 10.000 i due anni passati, e già altre più di 1000 quest'anno. Ci resta per questa stagione quest'ultima navigazione oceanica dalle Galapagos al Mexico. Dopo più di un mese e mezzo quasi fermi, potendo stare solo all'ancora nelle tre sole baie autorizzate di San Cristobal, Santa Cruz e Isabela, la aspettavamo oramai con ansia Sam ed io. Oceano, finalmente! 

Sam si era preso un paio di giorni di riposo a terra, in albergo. Solo a bordo lo aspetto la mattina della partenza con una punta di ansia: e se non venisse? Se fosse sparito? È una simulazione di una eventualità impensabile evidentemente, Sam non mi pianterebbe mai, ma ci rifletto qualche minuto, cercando un "piano B" che a mare è sempre bene avere, ed è ormai mia assidua abitudine avere in ogni circostanza. Se succedesse non potrei certo lasciare la barca in sicurezza qui, impossibile. Devo tornare a casa e poi ho già il biglietto di ritorno da Messico tra 10 giorni. Bene, andrei da solo, ne sono certo. Non ho mai fatto grosse navigazioni in solitario, ma ormai ho una tale confidenza con la barca e con l’oceano che salperei senza indugio. Follia? Piuttosto rischio calcolato. Del resto mi sento molto più a rischio a guidare a velocità in un’autostrada con traffico pesante. Ma la simulazione finisce presto: Sam arriva puntuale, sorridente, affidabile come sempre. Due minuti dopo salpiamo e siamo in rotta!

Quante cose succedono in oceano! Siamo solo in due, ma resteremmo svegli tutto il tempo, se potessimo! Tecnicamente, non ci dovremmo aspettare problemi, se non per la mancanza di vento. E noi abbiamo carburante solo per 800 miglia, e un tempo limite definito. Confidiamo nei venti "papagayo" provenienti dal Costarica, che a metà strada potrebbero darci una bella spinta.

Partiamo quindi il 17 maggio, mattinata stupenda dopo giorni di "garua" tempo di pioggia finissima ma a volta anche torrenziale, che caratterizza questi mesi da maggio appunto, a settembre-ottobre. Salutiamo la foca che ormai si era così tanto affezionata alla nostra barca e alla plancetta di poppa, salutiamo i "boobies" zampe azzurre (sule), l'ancoraggio di Isabela così protetto dell'ultima settimana, e partiamo. 

A neanche 10 miglia, nello specchio della bonaccia, la prima meraviglia, una manta meravigliosa quasi sotto la barca, enorme, nera sopra, candida sotto, visione magica! Due minuti dopo un'altra! E poi decine e decine di tartarughe, a sonnecchiare a pelo d'acqua, anche loro a godersi il sole ed il caldo del mattino...


Abbiamo deciso di fare il giro ad ovest di Isabela, speriamo di vedere altre coste, altri animali, l'isola Fernandina, e a nord, Wild e Darwin, le più remote e piccole, a nord, vicino alla nostra rotta. Tra Isabela e Fernandina il vento fa i capricci, i temporali ci assediano da tutte le parti, col buio decidiamo di aggirare prudentemente Fernandina all'esterno, piuttosto che transitare nell'angusto canale che la separa da Isabela. Piove a dirotto. Buio assoluto. Ma la mattina dopo siamo oltre, sotto l'estremità nord ovest di Isabela, coni vulcanici da ogni parte, colate nere di lava inframmezzate da strie di cespugli verdi: una visione di una bellezza selvaggia che lascia senza fiato. 

La salvezza del natura sta nell'ecoturismo

Ormai lo dicono tutti, dal WWF al World Tourism Organization. Negli USA lo studiano a livello di Ph.D. nelle Università. Ne hanno parlato insieme, di recente, i 500 delegati provenienti da oltre 30 Paesi che hanno partecipato all'Ecotourism and Sustainability Tourism Conference (ESTC15) tenutasi a Quito, Equador, (c’ero anch’io, lasciata la barca all'ancora custodita da Sam) per l'organizzazione del The International Ecotourism Society (TIES), e con la partecipazione del Global Sustainable Tourism Council (GSTC). Due autorevoli organizzazioni da tempo impegnate nella promozione, codificazione e qualificazione di strutture e destinazioni ad alta attenzione nei confronti della protezione ambientale e della ecosostenibilità delle relative attività turistiche. 

Parliamo qui proprio della salvezza della Natura del Pianeta attraverso il turismo ecosostenibile e della conservazione. Nei nostri tempi di crisi e di casse pubbliche vuote (a livello mondiale va detto, con la Cina unica eccezione o quasi) le soluzioni vanno cercate altrove. 

Per la protezione e riqualificazione ambientale è già in larga misura così, con gli operatori turistici più illuminati ed ispirati che si fanno carico diretto o in collaborazione con le istituzioni pubbliche territoriali di interventi ambientali sia nelle loro aziende, a volte estese nei paesi in via di sviluppo come l’Ecuador centinaia o migliaia di ettari, che nel territorio circostante. Aziende che realizzano servizi e infrastrutture per la fruizione turistica, dai sentieri soprattutto, alla comunicazione, che organizzano tutto ciò che necessita ai turisti "specializzati", dal birdwatching al mountain bike, dal trekking alle spedizioni alpinistiche vere e proprie, dai safari fotografici all'horseback riding e così via.

Fino al turismo di avventura, a volte criticabile in verità, per il rischio di trasformare la Natura in un parco di divertimenti. Ci riferiamo a canopy, zip lines, rafting, downhill biking, o alla pesca "catch and release", solo per citarne qualcuno. Ma se questo è il prezzo da pagare per avere un fiume o un litorale pulito, una foresta protetta, una specie in pericolo di estinzione monitorata e aiutata a riprodursi o un'area recuperata, oppure la pesca controllata e regolamentata, che tutto ciò ben venga, o no?

Qui in Equador, il Paese intero punta al turismo ecologico più qualificato, vantando oltre alle ben note e incredibili Galapagos una eccezionale varietà biotopica tra la fascia costiera su per la Sierra fino ai 100 vulcani alcuni di 6000m, e poi giù alle foreste Amazzoniche, ricchezza naturalistica testimoniata dalla più alta diversità ornitologica mondiale in rapporto alla limitata superficie (250.000km2): ben 1600 specie di uccelli delle circa 10.000 esistenti. Il più frequentato Costarica la metà, circa 800. Un buon indicatore dello stato di salute e della qualità ambientale.

E con un entusiasmo ed uno slancio da noi purtroppo scomparso da tempo hanno già messo in campo risorse e iniziative di supporto a questo tipo di turismo, tra cui in un sistema di qualità (facoltativo) delle strutture turistiche che comprende varietà, caratteristiche e livello "ecofriendly" dei servizi offerti: un sistema da far invidia a qualsiasi Paese cosiddetto sviluppato!

Con l’occasione ho girato un po’ il Paese e fatto delle verifiche sul campo, visitando 4 ecolodge molto diversi tra loro: un bel B&B alle porte di Quito, nei pressi di un bel cañón parco sub urbano e base di vacanze naturalistiche nei parchi e riserve del Paese, un lodge più rustico a 500km verso la costa pacifica, al centro di una proprietà da 700ha di foresta nebulosa con oltre 10km di sentieri privati, un terzo alloggio più moderno, quasi lussuoso, con solo 7 stanze in 3 cottages nel bosco più fitto ancora più giù verso il mare, e infine una stupenda fattoria riconvertita, più che centenaria a 3800m di quota, ai piedi del cono innevato, perfetto, del vulcano Cotopaxi che sfiora i 6000m. Tutti caratterizzati da una grande attenzione per l'ambiente e per il turista, per le tradizioni locali sia nei materiali usati e nello stile degli ambienti, che per i servizi ed i cibi offerti.


Qui un turista naturalista ma non solo trova veramente il massimo di quello che può desiderare. Senza parlare naturalmente delle stupende testimonianze della colonizzazione spagnola fin dal secondo '500, in primo luogo le chiese ed i conventi di Quito...

lunedì 24 dicembre 2018

Galapagos, la realtà

Il titolo sembra quello di un'inchiesta, ma in realtà vorrebbe essere solo un tentativo di uscire dall'immaginario  e descrivere un po' le cose come stanno, in questo arcipelago del tutto speciale. Sì, perché di una terra speciale si tratta, ma quale non lo è in fondo? Non è proprio questo il bello del viaggio, della natura, della scoperta? Il bello della diversità. 

Qui, mettendo un momento da parte gli stupendi documentari naturalistici e le crociere che offrono qui, che fanno rivedere dal vivo  le scene e le emozioni dei documentari (a caro prezzo), avendo tempo a disposizione, noi siamo andati finora alla scoperta di due delle isole maggiori, San Cristobal e adesso Santa Cruz, in relax, con il "fai da te" ascoltando e confrontando le esperienze di altri viaggiatori. 

Intanto occorre considerare che il clima è quasi arido, cactus, opuntias e arbusti bassi a tappeto, su un suolo vulcanico difficile da percorrere anche a piedi. Solo poche aree oltre una certa quota diventano più verdi e floride. La fauna endemica è speciale ma non ricchissima come ci si potrebbe aspettare: a terra iguane terrestri e marine, lucertole, e poco altro, poi uccelli, bellissimi quelli marini, sule, fregate, fenicotteri e altri, a mare gli onnipresenti e quasi domestici leoni marini, delle dimensioni di foche, giocherelloni ed invadenti, pensano che la barca sia di loro proprietà. A Isabela ci sono i pinguini. Tutti senza timore di essere cacciati, come si sa, ma questo vale anche per le cernie di Linosa e di Ustica, tanto per dirne una. 

A San Cristobal abbiamo percorso gli unici due sentieri possibili, sfidando il caldo torrido, e questa è stata finora la vera e più bella scoperta: spiagge deserte, scogliere a picco sui frangenti dell'oceano, animali lì tranquilli a farsi fotografare, nessun ranger che, se da una parte ti insegna tante cose curiose, dall'altra ti condiziona tempi e sapori dei luoghi. Lo stesso per le immersioni. Dimenticate i vortici di squali pinna bianca e martello, ci sono anche quelli qualche volta, ma lo stupore include anche molto altro, a cominciare dal fatto stesso di essere lì, dall'altra parte del mondo, di esserci arrivati sulla propria barca invece che in aereo, e di assaporare paesaggi diversi, per l'appunto, con i leoni marini che ti sbucano da dietro come siluri, con la risacca dell'oceano che sale sulle rocce lì vicino, con le fregate che volteggiano sopra e le sule che ti guardano con curiosità invece che con timore. 

A Santa Cruz c'è una delle più belle spiagge che abbia mai visto in vita mia ad un'ora di cammino dalla cittadina, ampia, bianca, dolce, cristallina. Niente colonie di uccelli qui, per quelli bisogna andare in gita su altre isole vicine, cosa che faremo quando verranno i nostri amici, nuovo equipaggio.

Oltre ai pinguini, sappiamo che Isabela, la più remota e meno abitata delle isole maggiori, offre una enorme caldera fumante a 1400 metri di quota, tunnels di lava con il mare dentro, (sull'Etna hanno il ghiaccio dentro e non credo che vengano in molti -per adesso- da tutto il mondo a vederli) e scopriremo cosa altro quando ci andremo.


Insomma la realtà supera l'immaginazione in quanto è realtà, appunto, e a condizione che non ci si faccia condizionare troppo dai media, dal marketing e dai miti, che magari glissano su caldo tonrrido, piogge tropicali, mosche cavalline, ecc. Per noi va bene così, vivere e scoprire poco a poco queste isole che hanno fatto la storia della protezione ambientale e dell'ecoturismo è un piacere ed un privilegio.

domenica 23 dicembre 2018

Galapagos prime impressioni

Quindi abbiamo raggiunto anche questa mèta. Se Panama ci era sembrato un traguardo immensamente lontano, ora siamo anche oltre.   E ovviamente ci sarebbe molto "oltre" ancora. In baia qui, a San Cristobal, ci sono 4-5 barche a vela, non di più, oltre quelle da pesca e da lavoro dei locali. Tutte tranne noi sulla rotta verso le Marchesi, 2800 miglia, e la Nuova Zelanda o l'Australia, altre 6000 circa. Ogni qualche giorno una barca parte, una arriva. Due gli italiani in questo momento oltre me. Paolo, romano, una bella barca in alluminio, per un progetto di giro del mondo in tranquillità. E Nanni, torinese, un vero navigatore su una barca in acciaio in arrivo dal Messico dopo aver fatto, udite udite, la Groenlandia ed il passaggio a Nord-Ovest fino in Alaska, primo italiano a compiere questa rotta mitica. E con in testa il progetto di completare il giro artico andando dal Giappone alla Norvegia via Siberia: un giretto da nulla...

Ma il fatto vero è ormai evidente e confermato: i miti non esistono, al più sono creati dai racconti dei protagonisti stessi, o dagli scrittori, o dal marketing del turismo e dell'avventura. Così anche per le Galapagos. Alex sbarca, forse stanco della convivenza forzata di bordo: peccato, è stata una bella compagnia. Dice, con una punta di polemica, che è "felice di riguadagnare la sua libertà". Sam, col suo humor tipicamente inglese, prontamente gli risponde che anche noi siamo "felici che lui riguadagni la sua libertà". Insomma un divorzio consensuale senza conseguenze. Succede, in barca, a volte con liti e tensioni.

Oggi qui per me e Sam è la prima gita col ranger, e le prime due immersioni al Kicker Rock, uno scoglio veramente impressionante, a picco sopra e sott'acqua, a nord di San Cristobal. Uccelli, squali martello e pinna bianca piuttosto grossi, luce di taglio tra le fenditure delle rocce, leoni marini ci sfrecciano accanto sempre a caccia di pesce. Molto molto selvaggio, scenico, speciale.

Ieri una passeggiata al centro visitatori, ben fatto, offerto pochi anni fa dalla cooperazione spagnola, appena fuori del piccolo abitato. Incredibile la storia dell'arcipelago, con parecchi tentativi (falliti) di colonizzazione che si sovrappongono ad un lungo periodo di sfruttamento delle risorse naturali durato fin quasi all'estinzione di foche, tartarughe e balene. Poi l'istituzione del Parco Naturale forse più controllato e protetto del mondo (a ben ragione) che è anche allo stesso tempo un sfruttamento economico in piena regola ed una grande operazione di marketing turistico. Tra tasse e servizi abbiamo pagato ben 1400€, ci hanno fatto un'ispezione meticolosa all'inverosimile, dentro, fuori e sotto la barca, e ci hanno tassativamente proibito quasi tutto, tranne che stare alla boa nelle uniche tre rade a tal fine destinate, di fronte agli abitati delle tre isole maggiori. Con queste tasse non è raro sapere di barche che tirano dritto per la Polinesia senza fare sosta, oppure che sostano abusivamente in qualche remoto ancoraggio, a rischio di multe salate.

La cosa che ci aveva colpito di più costeggiando San Cristobal a nord, arrivando da Panama e da Malpelo, era l'assoluta assenza di tracce umane lungo i 50km di costa. Un tappeto verde di bassa vegetazione da clima semiarido con qualche alta formazione del tutto arida di roccia lavica qui e là di fresca eruzione. Ė di roccia lavica anche Kicker Rock, dove ci siamo immersi, e un promontorio poco lontano anch'esso a precipizio verticale sul mare. Ovunque i leoni marini endemici dell'isola, simpatici bestioni dalla mimica quasi umana e la voce ragliante, i pellicani, i granchi saltanti, capaci anche di andare avanti e indietro e non solo di lato. E le iguane marine, evoluzione locale di quelle terrestri, capaci di apnee anche di 30 minuti a 30 metri di profondità. E ancora non abbiamo visto quasi niente! 


Ancora una volta meglio lasciar perdere i miti, sorvolare sugli aspetti prosaici ed economici e goderci la natura come ci si presenta, nella sua stupenda diversità, come sempre ce la godiamo quando l'uomo non la distrugge, quando non occupa territori che non gli apparterrebbero.

venerdì 21 dicembre 2018

I famosi "doldrums"

Molti, se non tutti, ne abbiamo letto nei libri di Salgari, ma che cosa sono esattamente i doldrums? Si fa presto a dire "calme equatoriali", ma avete presente una calma TOTALE per giorni e giorni? Niente vento, naturalmente, se non soffi appena rinfrescanti a mitigare il sole caldo da bruciare, solo qualche delfino e pochi uccelli, nemmeno una barca o una nave neanche col radar e mare quasi piatto, perché l'oceano piatto non è mai, liscio come l'olio sì, ma sempre con onde di 1-2 metri che viaggiano lente in più direzioni, appena accennate, morbide, lontanissime l'una dall'altra, anche 2-300 metri, ma pur sempre maestose.

Dopo più di 24 ore di motore, protetti dal tendalino provvidenziale come non mai, incoraggiati da qualche increspatura sulla superficie, oggi pomeriggio abbiamo dato vela, più che altro per una pausa di pace e di silenzio. Regolate le vele al traverso, Bulbo Matto ha preso a scivolare in questo nulla, piano piano, 2 poi 3 nodi, anche 4 a volte, ci ha regalato una serenità preziosa fino ad un altro tramonto stupendo, con l'arancio che ondeggiava tra le masse d'acqua che viaggiavano lente con movimenti leggeri. 

Poi è finito tutto, un'altra notte di motore, e altre due ce ne sono fino a San Cristobal. Uno splendido quarto di luna ci consola.


Mai l'indomani c'è l'equatore da attraversare! Per me ed Alex è la prima volta in barca a vela. Sam si traveste da Nettuno e noi confessiamo i nostri peccati, implorando il perdono ed una traversata felice. Nettuno, bonario, sembra accogliere le nostre richieste...

giovedì 20 dicembre 2018

Chi conosce Malpelo?

Quasi nessuno, eppure questa isoletta, una rocca di neanche 1 miglio per 2 nel mezzo del nulla, a 200 miglia dalla costa colombiana, lato Pacifico, e 300 da Panama, da 20 anni è Riserva Marina Integrale della Repubblica della Colombia, da 15 anni è Marine Special Protection Area dell'IMO (International Maritime Organization), e da 10 anni è Sito Unesco Patrimonio dell'Umanità. 

E tutto questo per merito di Sandra Bessudo, una giovane donna, vorrei dire una ragazza, tanto amante della natura e del mare da fare della loro difesa la battaglia di una vita. Mi ha messo sulle sua tracce Laura, la mia compagna, che ne ha visto l'intervista in TV sulla sua battaglia contro i trafficanti di pinne di squalo. 

Da ragazzina visitò l'isola con suo padre importante operatore turistico colombiano, e se ne innamorò. Poco dopo incontrò per caso ai Caraibi il Presidente dalla sua Colombia, ed ebbe la sfrontatezza di perorare la causa della protezione di questa isoletta. Batti e ribatti è riuscita e ottenere tutto quello che voleva. La riserva, i programmi di studio e protezione e oggi conduce la Fundaciòn Malpelo e almeno due spedizioni l'anno di ricercatori colombiani sull'isola. 

È qui che la incontro, per una seria di fortunate coincidenze, sulla mia rotta con Bulbo Matto da Panama alle Galapagos. In primis, senza permesso neanche mi volevano fare fermare. Superata questa resistenza con una serie di insistenze e di fantasiose motivazioni all'italiana, ci indicano un ormeggio sopravvento, intenibile, poi un altro a sud, così al largo da farci sentire assolutamente in mezzo al mare, di fronte ad una costa quasi verticale e a scogli ripidi assediati dalla enorme risacca oceanica, il tutto letteralmente ricoperto da migliaia di nidi e sorvolato da stormi di uccelli schianazzanti. 

La chiamiamo per radio, più volte, è sull'isola!, sta "buseando", ci dicono, cioè è in immersione col suo gruppo di ricercatori. Al tramonto vediamo arrivare verso di noi un gommone: è lei, minuta, giovane, occhi chiari, rimaniamo tutti impalati a guardarla. La accompagna Erica Lopez, Ranger della Riserva, un'altra forza della natura, entrambe ancora con la muta bagnata addosso, colombiane della nuova Colombia che vuole e sta diventando una Nazione moderna e rispettabile. 

Ci raccontano tutta la storia della "loro" riserva, del bendidio di vita marina che c'è sotto, delle loro battaglie ecologiste. Come vorremmo fare un'immersione, almeno una! Alex ha pure studiato biologia marina ed è master diver! Niente da fare, sono piene di lavoro e di gente da seguire.. 


Alla fine della visita, dopo scambio di mail, abbracci e baci, Alex, lo spiritoso di bordo, con disinvoltura fa il gesto di buttare la lattina vuota di birra in mare: Sandra ha un moto, ma è uno scherzo! Con questa ultima risata ci lasciamo, noi con un po' di rimpianto per le meraviglie che possiamo solo immaginare, augurandoci un ottimo proseguimento, ognuno per la propria rotta... Di notte grandi movimenti di predatori invisibili sotto la carena.. la mattina dopo in rotta verso le Galapagos.

L'emozione del Darièn.

Sam regge il timone con perfetta competenza nell'alba limpida del golfo di Panama. Abbiamo lasciato ieri pomeriggio Bahia Piña, costa del Darièn, rotta 240º sulle Galapagos (850 miglia) con sosta possibile all'isoletta di Malpelo, competenza della Colombia, molto meno nota ma dicono altrettanto ricca di pesce come l'isola di Coco, 500 miglia più a nord, al largo del Costarica. 

All'estremità est di Panama, al confine con la Colombia, la Carrettera Panamericana, progetto di un secolo fà che avrebbe dovuto correre dall'Alaska alla Terra del Fuoco, si interrompe bruscamente di fronte alle montagne ed alla giungla del Darièn. E mai più sarà completata. Perché il Darièn è un parco naturale internazionale, patrimonio, grazie a Dio, dell'umanità.

Che la strada non sia stata realizzata proprio a causa delle impervie condizioni geografiche, oppure perché osteggiata da guerriglieri e trafficanti che se ne avvantaggiano per esercitare meglio le loro attività illegali o antigovernative non è dato di sapere. Certo è che la natura ha  così vinto su tutto, rimanendo al sicuro da uno sfregio profondo che avrebbe sicuramente dato avvio ad attività economiche le più varie di penetrazione e sfruttamento. Mentre adesso solo gli Indios Emberà e Wounnan la abitano e la conoscono a fondo. 

Attratti dalla promessa di natura incontaminata di questa area grande più della Sicilia e dalle culture indio, avevamo dato àncora a Bahia Piña, a meno di 50 km dal confine con la Colombia, e ne abbiamo fatto per qualche giorno la nostra base per vivere e capire un po' di questa regione ben poco nota e frequentata. 

Bahia Piña ci ha affascinati: provate ad immaginarvi un anfiteatro fitto di foreste, alte montagne dietro, le poche case dell'unico villaggio perse nella stretta pianura dietro una spiaggia che la borda da un angolo all'altro. Una mattinata a passeggiare nel villaggio, guardare le piccole attività, fare un bagno nel fiume tranquillo e trasparente (ma solo in questa stagione..) accanto alla breve pista dell'aeroporto. Poi un pomeriggio a risalire il Rio con nostro tender un paio di km con l'alta marea fino al villaggio. Ore a guardare il mare tiepido che letteralmente pullula di vita da ogni parte, pesci guizzanti, pellicani indolenti, qualche piroga con bimbi e ragazzi che pescano, donne gentili che propongono artigianato delizioso alla nostra barca, la sola in tutto questo ben di dio.. 

Poi ieri una gita su nel Rio Jaquè, mezz'ora più a sud, è stata la ciliegina sulla torta: intanto l'emozione di entrare nel fiume all'alba (e poi di uscirci, con l'alta marea del pomeriggio: un ostacolo pericoloso costato in passato la vita a molte persone) superando gorghi e correnti vorticosi sulla lancia un po' sgangherata della nostra guida Rodolfo, poi di risalirlo una ventina di km fino a Birochera, villaggio degli indio Wounnan, casette di legno rialzate da terra, tanti bambini, canuzzi polli e una vita ai minimi termini.

Dopo aver parlato un po' in giro, fotografato e passeggiato, alla fine, sulla via verso la lancia del ritorno, troviamo una piccola folla di curiosi e bambini nella capanna grande che fa da centro di riunione e da chiesa della comunità con una varietà di piatti e vasetti colorati, maschere, oggetti di legno e di tagua (avorio vegetale) intagliato. Impossibile non comprare qualcosa. 


Ma adesso, volata via Simona e rimasti in tre, Sam, Alex ed io, stiamo navigando in Oceano e siamo concentrati su meteo (perfetto, per fortuna), sicurezza e conduzione di Bulbo Matto, e su quanto avrà da offrire la nostra prossima mèta: le mitiche Galapagos!

martedì 18 dicembre 2018

Primo Pacifico

Va via Laura e Christine e arriva Simona, palermitana giramondo ormai professionista. 35 miglia a sud est di Panama City c'è un arcipelago dal nome affascinante, Las Perlas. Un centinaio di isole ed isolette poco abitate, una delle maggiori, San Josè, è privata e vi sorge un unico resort di cottage di lusso sparsi nella foresta. Poco vento, vi arriviamo il giorno dopo dal Canale, un po' motore un po' gennaker. Ci ancoriamo a ridosso della più frequentata, Contadora, accanto altre poche barche a vela, così chiamata perché gli spagnoli vi contavano i tesori trafugati nell'America del Sud, prima di sbarcarli a Panama, trasportarli dall'altra parte su dei carri e reimbarcarli per la Spagna, pirati permettendo.

Ma la delusione è grande: l'isola è disseminata di ville miliardarie in questo periodo quasi tutte chiuse, sparse in una vegetazione secca, direi invernale, se non fossimo quasi all'equatore. Un'atmosfera da stazione turistica di lusso fuori stagione. Ma soprattutto il mare è verde palude e freddo! Incredibile! Anche le altre isole non sono certo più attraenti: belle nella loro selvaggia natura, ma non molto fruibili: foreste scure ed intricate, spiagge deserte ed altrettanto selvagge ma ben poco balneabili, in queste condizioni.

Dopo qualche giorno le lasciamo senza troppi rimpianti e ci molliamo al tramonto per una traversata notturna di 60 miglia verso sud est, una baia quasi misteriosa che sulle mappe sembra ben ridossata e fuori dalle rotte più battute lungo la costa del Darièn: la regione più remota e meno sviluppata di Panama, verso il confine con la Colombia. La notte è buia e incute quasi paura: ma per fortuna ci danno felicità i miliardi di stelle, in cielo e nel mare, dove il plancton segna la scia nostra e quella dei tanti delfini che ci accompagnano: sembrano comete accanto e sotto di noi, si intrecciano, fanno evoluzioni e giravolte luminose che ricordano quei bastoncini scintillanti che accendevamo nel buio da bambini a carnevale.

Anche questa volta le nostre aspettative sono pienamente appagate: all'alba ci appare un profilo frastagliato di diverse quinte di alte montagne coperte di giungla e la mèta che avevo adocchiato sulla carta, Bahia Piña, si rivela una base stupenda per qualche esplorazione in questo parco naturale quasi impenetrabile più grande della Sicilia. Pullula letteralmente di pesci e di vita, che vediamo schizzare dappertutto inseguiti da invisibili predatori. Il mare è finalmente più caldo, pulito e trasparente, e la nostra barca è la sola all'ancora in un grande anfiteatro perfettamente ridossato, quasi senza traccia umana intorno. 


Subito ci vengono intorno tre ragazzini sulle loro piroghe di tronchi scavati: sono Indios Emberà, teneri, deliziosi, gentili, ci propongono i loro stupendi piattini e vasetti di fibra di palma, intrecciata così fitta da poterne fare recipienti per l'acqua. Poi ne chiamiamo un altro più grandicello che passa accanto dopo la sua pesca mattutina, sarà la nostra guida del giorno: Ortega ci sbarca uno ad uno sulla spiaggia che sembra infinita, tagliando indenne i frangenti che sembrano alti e minacciosi a noi a pelo d’acqua, e ci conduce al piccolo villaggio, forse una cinquantina di case, una chiesa, una scuola affollata di bambini ed un locale comune per il tempo libero e le riunioni. In una di queste ammiriamo una donna in costume locale che intreccia un enorme piatto tutto di fibra di palma colorata a motivi tradizionali, un vero capolavoro di enorme valore, saranno mesi che ci lavora. Accanto alla breve pista d'aeroporto (un monomotore due volte la settimana per Panama City) un bagno rinfrescante nel Rio Piña, trasparente da poterlo quasi bere, e la gita è già conclusa. Una realtà ai minimi termini, vedremo nei prossimi giorni cosa potremo vivere di questo posto così tranquillo da farci sentire totalmente fuori dal mondo.

domenica 9 dicembre 2018

Il nostro Canale



Arriva il nostro turno. Di quest'opera incredibile di ingegneria marittima, civile ed idraulica, sapevo già tutto: che era stata realizzata giusto 100 anni fa, con una lungimiranza tale da renderne necessario l'ampliamento sono in questi anni, dopo un secolo di sviluppo economico mai prima neanche immaginabile; che era costata allora la vita a qualcosa come 25.000 persone, tra malattie, incidenti e attacchi di puma, giaguari, coccodrilli e serpenti; quante navi vi transitano oggi, circa 40 al giorno, quanto pagano, anche 200.000$ e più per una portacontainer da 380 metri di lunghezza e 4000 pezzi impilati dentro e sopra, quanto guadagna un pilota senior, oltre 300.000$ l'anno, ecc, ecc. Avevo visitato con grande stupore le enormi chiuse già a giugno scorso, e transitato pure, aiutando il mio amico Matt, navigatore quasi solitario avendo a bordo solo il suo cane Oskar, oggi arrivato a Città del Capo via Capo Horn.

Ma non pensavo che avrei avuto un'emozione così grande, ad entrare nelle chiuse di notte, alla luce gialla delle fotoelettriche, al timone della mia barca. Ci è sembrato di entrare in un enorme teatro, su una scena tutta per noi, di cui eravamo noi i protagonisti. 

Il copione era ben collaudato: quattro amici alle cime ai quattro angoli della barca, il pilota che mi suggeriva le manovre, una chiusa dopo l'altra, senza un problema, in affiancamento con altre due barche.  Siamo così saliti 27 metri dall'Atlantico al lago Gatùn, dove abbiamo cenato (pasta all'amatriciana) e passato una notte fresca e tranquilla affiancati alle altre barche in transito come noi quella sera.

All'alba della mattina dopo, odore di uova con la pancetta, risate e chiacchere in una mezza dozzina di lingue diverse, poi arrivano i piloti e si parte per le 36 miglia di motore che ci portano attraverso il lago Gatùn fino alle chiuse Pedro Miguel e Miraflores. Altri tre salti in discesa con l'enorme prua di una petroliera che incombe minacciosa su di noi, per scendere in Oceano Pacifico. All'ultima riusciamo ad individuare la webcam che ci riprende tutti e che consente ad amici e parenti di vedere da casa il nostro transito in diretta.
Probabilmente saremo troppo piccoli, quasi indistinguibili, la barca accanto ha issato uno striscione con suo nome, noi il gran Pavese in testa d'albero, mi levo la maglietta e mi sbraccio sorridendo.. Stamattina mi sono fatto magari la barba! Mi vedrà nessuno dei parenti e amici che ho allertato? Chissà.. Ma per noi è comunque una grande festa, un'emozione vera e forte..

Indimenticabile! Alle 15 siamo già in Pacifico, neanche mezz'ora e siamo ancorati davanti al marina di Balboa, stremati dal caldo e dall'emozione, accanto ad altre decine di barche, molte presumibilmente in partenza per la traversata più lunga, quella dell'oceano più grande. 


Noi prenderemo le Galapagos come una boa e torneremo indietro, a Panama o in Ecuador o piuttosto a nord, in Messico, come mi suggerisce Vittorio: lui naviga con moglie e due stupendi figli piccoli biondissimi e metterà la sua barca in secca a Marina Chiapas, quasi al confine col Guatemala. Tutto il resto è troppo lontano e impegnativo. Ma quello che abbiamo fatto già ci soddisfa tutti in pieno, ed il Canale appena vissuto ne è un capitolo fondamentale. Chi se lo sarebbe immaginato solo 3 anni fa?

sabato 8 dicembre 2018

Musica a Shelter Bay

 Il chitarrista questa volta è un norvegese enorme, capelli biondi ondulati, un po' avanti negli anni ma ha una voce roca affascinante, da marinaio d'altri tempi. Il batterista invece è canadese, meno prestante ma bravissimo. Al basso un ragazzino incredibile. Questa sera hanno messo su questo complessino per gli equipaggi del marina di Shelter Bay, Colòn, Panama, la maggior parte coppie in pensione con minimo con due tre oceani alle spalle, qualcuna giovane con ragazzini al seguito, ma altrettante miglia già navigate e molte altre in programma. Io mi sento l'ultimo arrivato, "solo" due anni di esperienza atlantica e una sola traversata. La scena si svolge in un pub all'aperto dal nome parecchio indicativo: "it's 5 o'clock somewhere". Due signore con parecchi anni e chili addosso ballano felici insieme ai bambini della comunità, e alla fine mi aggiungo anche io, travolto dalle note di "Marina" e di "Woman no cry", nostalgia? Sicuro, ma quanta allegria! Semplice lasciarsi andare, dopo una giornata di lavoro, ansia di finire e partire, discussioni con operai di incerta affidabilità ma più che certa onerosità spropositata... Poi due chiacchere con il marinaio colombiano del chitarrista-cantante-navigatore norvegese, che mi racconta delle loro ultime avventure e della amicizia forte e immediata sorta tra loro. Poi una coppia riconosce la mia maglietta della traversata ARC 2012 e subito siamo quasi fratelli, mettiamo in comune storie, rotte, avventure, vite. Anche se mi sento ancora l'ultimo arrivato, fare parte di questa comunità dei navigatori in movimento ė la cosa più inebriante, immediata e spontanea del mondo...

martedì 4 dicembre 2018

San Blas: l’atmosfera adesso è quella giusta..

Finalmente, al terzo ancoraggio e dopo una settimana, siamo entrati nello spirito dei luoghi. Le San Blas sono senza dubbio delle isole speciali e oggi a Cayo Hollandes troviamo un ridosso perfetto, poco vento, sole pieno, colori vivi, poche altre barche lontane, mare turchese di infinite gradazioni, silenzio e natura al massimo. Alcuni (direi ex) navigatori si sono fermati in questi paraggi ormai da 10 o 15 anni, ma sono come i roulottisti che levano le ruote al loro mezzo e si piazzano in un campeggio che, seppur bello, non ha più nulla del viaggio e della scoperta. La maggior parte però se le gode come noi 2 o 3 settimane e poi, come ogni navigante vero, pensa già alla prossima meta. 

Ma anche noi oggi siamo come i roulottisti, fermi nel relax assoluto, una nuotata, un'insalata, poi un pisolino e dopo meglio cominciare a pensare alla cena. Questa sera pasta con la bottarga del capone imperiale pescato la scorsa settimana e messa sotto sale. Ieri aragoste a 4$ al kilo.. Finora non ci siamo fatti mancare proprio nulla!


La pienezza delle San Blas. 
Rotte future alternative.

Continua l'esplorazione delle San Blas, il mio spirito è definitivamente cambiato dall'entusiasmo e dall'incanto degli anni passati alla tranquilla consapevolezza che tutto il mondo può stupire e dare felicità se l’atmosfera e la compagnia è la migliore e sopratutto se si ha l'atteggiamento e l'umore giusto. Quasi come se fossi passato da un atteggiamento di stupore forse anche un po’ "mordi e fuggi", da cittadino occidentale, ad una pienezza tranquilla e serena. Fosse saggezza?

Per chi vuole continuare a sognare, confermo che queste isole, a detta di tutti sono al livello degli atolli del Pacifico meridionale, da tutti considerate il massimo. Sabbia fine, palme, vento e temperatura dell'aria e dell'acqua assolutamente confortevoli, ridossi ovunque, coralli, pesci, aragoste, razze, cernie, e natura perfetta. Tante barche da tutto il mondo, tante storie le più varie, gli indiani Kuna gentili, poveri e semplici. 

Ma in questo periodo mi sento come in bilico, un po' troppo lontano dai miei affetti e ormai quasi abituato a tanta bellezza. Insomma non vivo più il sogno ma "solo" un bel viaggio, in un posto però ormai ben noto e perfino un po' monotono, quasi. Non che mi manchi la novità o che stia a cercare sempre l'avventura e il nuovo ad ogni costo, ne' tanto meno (figurarsi!) mi mancano le vicende di casa nostra, ma è a volte penso sia arrivato il momento di progettare altro. 

E allora, pur tra una nuotata ed un'apnea stupendi, tra un bagno ed una passeggiata in spiaggia in questo paradiso, penso e ripenso al prossimo futuro di Bulbo Matto dopo le Galapagos. 

Già, perché ho deciso di transitare il canale di Panama ed andare verso quelle isole incantate per antonomasia e dopo potrei effettivamente confermare la fine della stagione 2015 a giugno in Equador (però l’unico che ho trovato da quelle parti sarebbe il cantiere più caro finora..). 

Ma per fare cosa, a gennaio l'anno prossimo? Tornare indietro in Mediterraneo sarebbe in teoria ancora possibile, via Cuba Bahamas e Atlantico del nord. In mezzo ancora baie, isole e ancoraggi da piccolo cabotaggio, come tanti qui alle San Blas. Non mi attira proprio, non credo che faccia più per me. Anche perché per tornare indietro, bisognerebbe aspettare maggio per una traversata tranquilla da Panama a Cuba, e giugno per l'Atlantico dalle Bermuda alle Azzorre... 


In alternativa, avendo ormai (per ora?) escluso la rotta del Pacifico meridionale, troppo cara e lontana, allora perché non farla a maggio di quest'anno questa traversata fino a Cuba, e trovare dove lasciare la barca lì o nel vicino Yucatàn? Dilemmi da felice pensionato! Intanto si ritorna a Shelter Bay in attesa di passare il Canale.

RIPRENDO IL BLOG DOPO TRE STAGIONI... (scusate il calo di motivazione..)


DA PANAMA ALLE GALAPAGOS AL MESSICO


Ritorno alle San Blas: è Magia Vera?

Sarà che lo stupore dei primi due anni è sbiadito, sarà che il sole in questi giorni è troppo spesso velato, sarà che ci sono un po' troppe altre barche in giro, sarà anche un po' di stanchezza per i lavori della partenza, aggiustamento ai nuovi ritmi o di nostalgia di famiglia, ma tutto ciò mi suscita riflessioni miste. 

Certo che i tempi che viviamo, con tutta questa facilità di movimento, libertà di scelta e consumismo, anche turistico, verso i luoghi più belli donateci dal Signore, creano delle contraddizioni pazzesche. 

Le San Blas non fanno ovviamente eccezione. Sono un arcipelago di minuscole idilliache isole di sabbia e corallo alte 1 metro sul mare, piene di palme al vento, una spiaggetta bianca tutta intorno, che punteggiano una laguna protetta dalle onde oceaniche del Mare dei Caraibi lungo la costa nord di Panama, non lontano da Colòn. Unici pericoli (assolutamente reali) sono i banchi di corallo di cui è disseminata, e per i quali bisogna tenere gli occhi molto ben aperti, sugli strumenti e a prua. 

Sono abitate dagli indiani Kuna, che governano in autonomia e vivono una vita di minime attività di pesca, di raccolta delle noci di cocco e di artigianato di molas, tessuti-patchwork che riproducono la loro simbologia. In ogni isoletta vivono una o due famiglie nelle loro capanne di foglie di palma, cani, maiali e bimbi al seguito, gli uomini più spesso a pesca in una delle loro canoe di tronchi scavati la cui stabilità sembra un miracolo impossibile. Solo qualche villaggio di 2-3000 persone. Uno scenario se non proprio da preistoria, quasi. Del tutto affascinante, idilliaco, mitico.

Il punto è che il mito dei popoli e dei luoghi "incontaminati" non esiste più, se mai è realmente esistito, e tutti sappiamo che plastica e cellulari sono ormai ovunque. Un altro fatto vero è pure che sono ovunque anche i "backpackers", ragazzi e meno ragazzi di tutto il mondo che ormai in gran numero hanno i mezzi per viaggiare ovunque e di più, a volte per anni. Per lo più con i mezzi locali, o in moto, qualche volta su natanti che sembrano galleggiare a malapena. Certamente un bel progresso di civiltà, un movimento globale di crescita, di curiosità e di conoscenza: bella gioventù, la migliore possibile. Ma il risultato è prevedibile: gente e rifiuti ovunque, non saprei dire con quanta consapevolezza vera dei luoghi e delle genti, nascita di business e servizi vari, utili anche ai locali per carità, ma molto spesso "inquinanti" anche loro. 

Per esempio finiscono con rompere l’incanto dei luoghi le decine di barche che lavorano per portare questi viaggiatori alla giornata dalla Colombia a Panama e viceversa (non c'è strada percorribile tra i due paesi) con sosta appunto alle San Blas. E pure inquinanti (in termini culturali) le sedicenti "feste tribali sciamaniche", raduni di musica, incontri, trasgressioni e sostanze varie che non lontano da qui radunano per giorni e giorni migliaia di persone in cerca di emozioni abbastanza prevedibili. Qui il viaggio viene vissuto in chiave di divertimento e trasgressione: che tristezza! 

Ma adesso il sole è già più alto, porta via la malinconia, ricominciamo a vivere la vita dei naviganti, voglia di navigare e di nuotare, e di andare in tender a trovare una delle 10 o 12 barche di italiani (!) ancoràti nei dintorni, di cui parecchi già incontrati nei due anni passati, e rompere così la voglia di far niente e di silenzio. 

Per la cronaca, a bordo tutto non potrebbe andare meglio, stiamo benissimo: primo equipaggio, oltre me, Laura la mia compagna e supporter (un po’ entusiasta un po’ timorosa), Alex il marinaio germano-americano architetto pieno di iniziative e di qualità, Christine sua amica ospite per due settimane arrivata ieri, e oggi aspettiamo Sam, l'altro marinaio compagno di vela, inglese, un giro del mondo con la famosa "Clipper Race" nel suo CV, che ci accompagnerà alle Galapagos e per tutta la stagione. Ieri una pasta con l'aragosta, a pranzo insalata di polipo e patate, l'altro giorno un dorado di 3kg (una battaglia portarlo a bordo!) ci ha dato da mangiare per due giorni.



Accantonate le riflessioni filosofiche, una gran bella vita, non c'è di che lamentarsi di sicuro!