mercoledì 26 marzo 2014

Isla Beata, caraibi sperduti ultimo villaggio prima di Cuba

La Isla Beata.
Per molti il nome potrebbe essere quanto meno fuorviante. L'unico "pueblito" dell'Isla Beata ha solo 300 anime, pescatori poverissimi accampati su una stretta striscia di spiaggia tra la battigia e una falesia di calcare aspro alta pochi metri. Le "case" sono solo misere capanne di legno e lamiera ondulata, mi ricordano quelle dei pescatori altrettanto poveri del Banc d'Arguin in Mauritania, o sono solo teloni tesi tra le palme, e poi spazzatura ovunque, iguane che girano come gatti in cerca di cibo e pochi animali domestici, cani striminziti, tacchini, qualche maialino. Qualche capanna ha i pannelli solari, o il generatore, ma non ci sono antenne paraboliche e l'unico mezzo di trasporto e di lavoro è la barca. L'Isla Beata è l'isola più a sud, più remota della Repubblica Dominicana, anni luce dagli edifici scintillanti di Santo Domingo, 4 milioni e mezzo di abitanti, e da qualsiasi altra città o meta turistica del Paese. Bisogna andarci proprio di proposito, o ci si capita come noi sulla rotta est-ovest, peraltro pochissimo frequentata, tra Cuba e le le piccole Antille. La gente, nel pomeriggio dopo la pesca riposa, chiacchera, gioca a dama o a domino, prepara il pesce da seccare o scuoia e squarta i pescecani, le donne cucinano. Gente semplice, una vita veramente al minimo. L'isola in sè è grande solo qualche miglio da un pizzo all'altro, arida, piatta, tutta cespugli e cactus, e non offre nulla. Tutto viene dalla vicina costa di fronte dove ogni giorno i pescatori portano pesce ed aragoste destinati ai ricchi della capitale. Un passaggio di mare largo 1 miglio o poco più e profondo solo 5-6 metri la divide dall'isola maggiore. Arrivandoci avvistiamo un pescatore, un sub artigianale direi, che nuota ad almeno 2 miglia dal pueblito, portandosi dietro i sacchi dove mettere i polipi e le aragoste che andava pescando via via. Abbiamo pensato ad un naufrago, abbiamo offerto aiuto, ma lui ha salutato sorridendo. Tre ore dopo rientrava da solo con i sacchi pieni di prede guizzanti. Una parte di queste viene messa a seccare in riva al mare, su fili come panni stesi o su tavole o reti improvvisate per essere poi vendute nella ancor più povera Haiti. Noi, ancorati di fronte, nell'acqua più limpida che si possa immaginare, siamo gli unici rappresentanti, direi intrusi, del mondo moderno. Un saggio di quel che può significare navigare tra isole deserte o addirittura primitive. Un misto di curiosità, voglia di conoscere e socializzare, ma anche disagio, timore di essere inopportuni o addirittura sgraditi. Timori però del tutto immaginari, proiezioni della nostra cattiva coscienza di ricchi, perché la gente in posti simili ci ha sempre accolto con grande gentilezza e simpatia, offrendoci noci di cocco appena raccolte, e aragoste e pesci appena pescati..

giovedì 20 marzo 2014

Dalle Piccole alle Grandi Antille: diario di bordo

solo adesso, che comincia la vera navigazione. Finora isole e mari ormai a me noti, approdi, baie, anche persone già conosciute. Luoghi da riassaporare, conoscenze da approfondire. Ma da oggi, dopo Tortola, la maggiore delle British Virgin Islands, tutto sarà nuovo per noi. Saranno le grandi Antille, lungo questa nostra rotta da est verso ovest, prima Portorico, poi la Repubblica Dominicana, quindi Cuba. Resta fuori per ora la Giamaica. Sono 700 e più miglia da navigare, ma ancor prima da studiare, interpretare, pianificare. Andati via gli amici, restiamo solo in due a bordo, io e Niki, una situazione abbastanza impegnativa, date le miglia e le notti di navigazione da fare. Ma ci si presenta Hania, una "barcastoppista" in piena regola, e chiede dove andiamo. Una breve conversazione ed è subito imbarcata! Ha esperienza, allegria e sembra proprio una persona interessante: polacca, ex-architetto, due figli ormai grandi (a giugno sarà nonna due volte), un fidanzato lontano, anche lui navigatore, ma bloccato da impegni vari. Prima di partire recupero un satellitare nuovo che ho ordinato per posta con consegna proprio a Tortola. Avrei voluto farne a meno, costi a parte, cercando di evitare altra tecnologia (per nulla semplice) da imparare, gestire, controllare. L'anno scorso per la traversata dell'Atlantico l'avevo noleggiato e poi affidato a mia figlia Alessandra, che aveva assolto il compito egregiamente. Adesso invece toccherà a me: non potevo farne più a meno, con lunghe navigazioni solitarie lungo coste deserte di Cuba e poi per la traversata di lì fino a Panama. 11 marzo Lasciamo le BVI un pò a malincuore, i ricordi ancora vividi delle settimane trascorse l'anno scorso in questo magnifico arcipelago. Prima sosta a Culebra, Isole Vergini cosiddette spagnole, territorio già di Portorico. Arriviamo che è sera, a motore, quasi senza vento, evitando scrosci di pioggia tutto intorno a noi. Niente di chè, Culebra, case sparse con un'aria già un pò americana, ma soprattutto una baia tranquilla per riposarci. 12 marzo Assolta la dogana, la più piccola Culebrita ci offre un a baia stupenda, deserta a meno di appena 3-4 barche, quasi chiusa, sabbia, palme e acqua splendidi ben sopra la media, un faro in rovina in cima alla collina, affascinante. Una giornata di relax sopra e sotto l'acqua. Per dormire ci spostiamo in una baia a sud della vicina Vieques. Vorremmo esplorare anche queste coste quasi deserte, promessa di altre baie e altri fondali stupendi, ma il tempo a disposizione non è certo illimitato.. 13 marzo Si parte presto, 60 miglia da fare fino alla Bahia de Obos, sulla costa meridionale di Portorico. Il vento ci accompagna benigno, mettiamo gennaker e riusciamo a tenere i 6-7 nodi anche con 10-11 nodi di vento medio. Ancora un ancoraggio deserto, tranquillo, la luna ormai quasi piena ci fa compagnia. Ma la costa bassa a mangrovie e l'acqua verde da estuario non sono il massimo, per noi abituati ad altre trasparenze e altri più verdi e movimentati paesaggi 14 marzo Puntiamo su Ponce, il centro più importante della costa meridionale di Portorico, non prima però di una sosta rinfrescante e tonificante all'isola "Caja de Morto". Poche le barche in giro, ma anche pochi gli ancoraggi interessanti, isole minori a parte. Prima di sera ci dirigiamo al marina di Ponce, contando di trovare carburante, internet, provviste, un centro interessante. Delusione massima! Il marina è bello ma destinato quasi solo per i ricchi locali, la cittadina è lontana e inutile, gasolio chiuso, internet niente.. 15 marzo Risolviamo le cose più importanti solo la mattina dopo, prima della lunga navigazione, 150 miglia, verso la Repubblica Dominicana, attraverso il temibile Mona Channel. Ma il tempo è buono e la luna ci illumina: nessun problema, un pò vela un pò motore.. È la prima notte di navigazione e turni per il nostro Niki. Ne ha fatta di strada in soli due mesi, questo ragazzone in cerca di un futuro sul e nel mare! Già 1000 miglia navigate, tecniche, nomenclatura, manovre, timone, ormeggi: pensare che non aveva praticamente mai messo piede su una barca a vela, prima di questa avventura.. 16 marzo All'alba buttiamo ancora a Saona Island, parco naturale protetto ma invaso da barconi velocissimi pieni di gitanti locali ma sopratutto di turisti dalle navi da crociera che ancorano alla vicina Catalina Island o a La Romana. Basta però allontanarsi un pò per godersi silenzio, palme e natura e per riprendersi dalla notte di navigazione. Avevamo deciso di dormire proprio a Catalina per poi fare dogana direttamente a Las Salinas, 100 miglia più a ovest, ma ci accorgiamo che l'attacco del vang è strappato e i rivetti tagliati: brutto affare.. Deviamo allora sulla vicina Bayahibe, cittadina turistica a poche miglia, per potere studiare il da farsi, prima di avventurarci in aree ancora meno sviluppate. Anche a Bayahibe problemi di internet e di comunicazione.. Torniamo a bordo stanchi, stressati e di cattivo umore, ma questo è il mondo in via di sviluppo, che si vuole fare?.. 17 marzo La mattina dopo, lunedì, poche miglia e andiamo all'unico vero marina della Repubblica Dominicana: Casa do Campos. Solo qui forse troveremo rivetti abbastanza grossi per fare la riparazione. A Casa do Campos facciamo tutto, internet, telefono, dogana, grande spesa, anche in vista delle probabili carenze cubane, ma rivetti niente neanche qui. Mi arrangio con bulloni, viti e una legatura con una cima di spectra. Speriamo tenga fino a Panama. Ancoraggio notturno a Catalina, bello e tranquillo. 18marzo L'indomani partenza alle 6 per fare col giorno le 100 miglia che ci sono fino a Las Salinas. Ma qui tanto ci si sveglia sempre alle 6, e per le 9 di sera siamo già cotti e sfiniti e crolliamo addormentati come bambini.. Il vento non è abbastanza, ci toccano 13 ore di motore e arriviamo pena in tempo, con le ultime luci del giorno. Meno male che la baia di Salinas è tranquilla eiacevole, con un paesino ben poco turistico e finalmente qualche barca di navigatori con cui chiaccherare e scambiare esperienze e impressioni.. 19 marzo

lunedì 10 marzo 2014

Saba, la Stromboli dei Caraibi

Saba mi ricorda Stromboli, in versione caraibica.
Strana definizione, vero? Eppure non riesco a pensarne una migliore.. Ex vulcano, piccola, scoscesa e impervia se possibile ancor più di quel gioiello che arricchisce e ci arricchisce tutti, giù da noi in Sicilia, Saba fu colonizzata solo nel '600 dagli olandesi, che per primi apprezzarono la fertilità dalle poche aree pianeggianti e la sicurezza del luogo, dovuta proprio dalla mancanza di spiagge, per insediarvisi a dispetto di tutti gli altri inconvenienti, innanzi tutto un isolamento ancor oggi marcato ed quasi inevitabile. Basti pensare che solo sentieri e gradini davano accesso ai 3 villaggi e alle case sparse dell'isola, fino a quando, negli anni '40, dopo 20 anni di lavori, fu completata la prima strada carrabile, fino a quel momento definita "impossibile", realizzata interamente a mano da 20 operai locali arruolati dal governo olandese a turno per 3 settimane alla volta. Negli anni '60 invece si riuscì a realizzare perfino un minuscolo aeroporto, la pista commerciale più corta del mondo, un fazzoletto di appena 400 metri su un promontorio a strapiombo, neanche a dirlo, sulla scogliera. Oggi, dal 2010 tornata a tutti gli effetti ad essere territorio nazionale olandese dopo una breve parentesi indipendentista, ancora ben pochi conoscono questo minuscolo angolo dei Caraibi (5 kmq!) già noto invece agli amanti delle immersioni e del trekking. L'anno scorso non riuscii ad approdarvi a causa del troppo vento, quest'anno ho fatto una deviazione di proposito per conoscerla. Ed è stata una piccola avventura. Intanto, appunto, lo sbarco: lasciata la barca ad una delle boe della riserva marina, con le cime che stridevano per il troppo vento anche quest'anno, col tender riesco in qualche modo, non so come, ad approdare surfando sulle onde su una spiaggetta ai piedi di una parete lavica vertiginosa, chiedendomi come avrei fatto poi a venderne fuori. Mi ero fatto mandare un taxi, facciamo quindi una salita tipo rampa di garage che ci porta a "The Bottom" il villaggio che fa da capoluogo, 500 abitanti, casa del governatore, ambulatorio, strutture civiche, chiese e abitazioni in pietra e legno a prova di uragano stile nord Europa 18º secolo. Tutte costruzioni ben messe, abitate e con giardini fioriti. Poi, ancora oltre, il villaggio più attivo, Windward Side, con alberghetti e ristoranti. Trovo anche un Lions Club che mi dicono molto attivo nel sociale, mi presento a Guy Johnson, uno dei Lion più noti, 80+ anni ben portati, padre del governatore attuale, da molte generazioni orgogliosi abitanti di Saba. Ci scambiamo gagliardetti e distintivi: li porterò al mio Presidente al mio ritorno.. Sono affascinato delle dimensioni lillipuziane di questa comunità, dall'affabilità delle persone che incontro, dal paesaggio così impervio, niente palme ma comunque e sempre tanta natura, mare in tutte le direzioni.. Il ritorno in barca conferma le mie preoccupazioni: un'onda mi risbatte indietro, il tender cappotta sopra la mia testa, meno male che è leggero, ma il motore e il cellulare vanno sott'acqua come me, riparto a remi e finalmente, colato fradicio e sfinito, al tramonto, torno in barca sano a salvo.. Ma non posso lasciare l'isola, l'indomani, senza prima aver fatto due magnifiche immersioni in queste acque cristalline: anfratti, massi e pareti a picco sopra e sotto il mare, coralli e pesci di ogni tipo, tartarughe, aragoste, barracuda, murene, razze, "red snappers", e chi più ne ha più metta..

sabato 1 marzo 2014

A Guadalupa omaggio a Jacques Cousteau

Due isolette abbastanza piccole e insignificanti, nere vulcaniche, vegetazione bassa ad arbusti, ma appena sotto la superficie il panorama cambia completamente. Coralli di ogni tipo e colore, acqua cristallina, pesci in branchi piccoli e grandi, pagrri a coda gialla, pesci scatola, trombetta, occhio rosso, pappagalli, napoleone, aguglie imperiali e così via. Ma anche seppie, sogliole multicolore, wahoo, ecc, ecc. È il parco marino Jaques Custeau, nell'isola di Guadalupa. Se poi ci si allontana appena un po' dalla costa, su profondità superiori, anche sui 10 metri, un apneista un po' in esercizio non ha difficoltà ad incontrare predatori di taglia superiore ai 4-5 chili, aricciole, carangidi a piume e occhio grosso, red snapper, barracuda in branchi minacciosi, ma anche pesci porco, calamari, murene, e ovviamente aragoste sotto ogni masso. I fondali delle West Indies, cioè dei Caraibi non sono sempre così ricchi. Ci sono parecchi altri siti pregevoli quasi in ogni isola, ma spesso il corallo è danneggiato da fatti di natura antropica o naturale (uragani e tempeste tropicali) e il pesce più rarefatto. Ma non qui, in questo parco, dove una statua qualche metro sott'acqua ricorda il padre indiscusso della subacqua mondiale, colui che più di ogni altro ha aperto questa frontiera affascinante degli oceani, ispiratore di innumerevoli musei, documentari, e spedizioni in tutto il globo, Jaques Custeau, con suo immancabile berrettino bretone di lana sulla testa. Un via vai di subacquei e di barche col fondo di vetro consentono ai tanti turisti di godere e apprezzare questo spettacolo naturale abbastanza unico per concentrazione e varietà di specie e di vita marina. Uno spettacolo da non perdere per chi si trova a visitare Guadalupa, le sue molte isole minori al contorno e la sua natura prorompente che spazia dalla cima vulcanica della Soufière con i suoi 1400m sul mare e le molte cascate, laghi e foreste pluviali, fino, appunto, al fondo del mare..