domenica 9 dicembre 2018

Il nostro Canale



Arriva il nostro turno. Di quest'opera incredibile di ingegneria marittima, civile ed idraulica, sapevo già tutto: che era stata realizzata giusto 100 anni fa, con una lungimiranza tale da renderne necessario l'ampliamento sono in questi anni, dopo un secolo di sviluppo economico mai prima neanche immaginabile; che era costata allora la vita a qualcosa come 25.000 persone, tra malattie, incidenti e attacchi di puma, giaguari, coccodrilli e serpenti; quante navi vi transitano oggi, circa 40 al giorno, quanto pagano, anche 200.000$ e più per una portacontainer da 380 metri di lunghezza e 4000 pezzi impilati dentro e sopra, quanto guadagna un pilota senior, oltre 300.000$ l'anno, ecc, ecc. Avevo visitato con grande stupore le enormi chiuse già a giugno scorso, e transitato pure, aiutando il mio amico Matt, navigatore quasi solitario avendo a bordo solo il suo cane Oskar, oggi arrivato a Città del Capo via Capo Horn.

Ma non pensavo che avrei avuto un'emozione così grande, ad entrare nelle chiuse di notte, alla luce gialla delle fotoelettriche, al timone della mia barca. Ci è sembrato di entrare in un enorme teatro, su una scena tutta per noi, di cui eravamo noi i protagonisti. 

Il copione era ben collaudato: quattro amici alle cime ai quattro angoli della barca, il pilota che mi suggeriva le manovre, una chiusa dopo l'altra, senza un problema, in affiancamento con altre due barche.  Siamo così saliti 27 metri dall'Atlantico al lago Gatùn, dove abbiamo cenato (pasta all'amatriciana) e passato una notte fresca e tranquilla affiancati alle altre barche in transito come noi quella sera.

All'alba della mattina dopo, odore di uova con la pancetta, risate e chiacchere in una mezza dozzina di lingue diverse, poi arrivano i piloti e si parte per le 36 miglia di motore che ci portano attraverso il lago Gatùn fino alle chiuse Pedro Miguel e Miraflores. Altri tre salti in discesa con l'enorme prua di una petroliera che incombe minacciosa su di noi, per scendere in Oceano Pacifico. All'ultima riusciamo ad individuare la webcam che ci riprende tutti e che consente ad amici e parenti di vedere da casa il nostro transito in diretta.
Probabilmente saremo troppo piccoli, quasi indistinguibili, la barca accanto ha issato uno striscione con suo nome, noi il gran Pavese in testa d'albero, mi levo la maglietta e mi sbraccio sorridendo.. Stamattina mi sono fatto magari la barba! Mi vedrà nessuno dei parenti e amici che ho allertato? Chissà.. Ma per noi è comunque una grande festa, un'emozione vera e forte..

Indimenticabile! Alle 15 siamo già in Pacifico, neanche mezz'ora e siamo ancorati davanti al marina di Balboa, stremati dal caldo e dall'emozione, accanto ad altre decine di barche, molte presumibilmente in partenza per la traversata più lunga, quella dell'oceano più grande. 


Noi prenderemo le Galapagos come una boa e torneremo indietro, a Panama o in Ecuador o piuttosto a nord, in Messico, come mi suggerisce Vittorio: lui naviga con moglie e due stupendi figli piccoli biondissimi e metterà la sua barca in secca a Marina Chiapas, quasi al confine col Guatemala. Tutto il resto è troppo lontano e impegnativo. Ma quello che abbiamo fatto già ci soddisfa tutti in pieno, ed il Canale appena vissuto ne è un capitolo fondamentale. Chi se lo sarebbe immaginato solo 3 anni fa?

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