giovedì 12 marzo 2015

Costa Rica, immersioni all' Isla Cano

IMMERSIONI ALL’ ISLA CANO – PARCO CORCOVADO, PENISOLA DI OSA, COSTA RICA Il Costa Rica è un vero paradiso terrestre. La natura incontaminata conserva una purezza altrove scomparsa ed una concentrazione di biodiversità che per noi occidentali è solo un concetto astratto. Il 2 % delle specie esistenti al mondo vive indisturbata in questo angolo di mondo tra due oceani, il Pacifico e l’Atlantico. Luce, colori, profumi e suoni sono un costante spettacolo che cattura l’ attenzione e risveglia i sensi, colpiti dall’ ossessivo gracidare metallico delle rane. Ne esistono decine di specie, le più sgargianti sono quelle velenose, i turisti le vanno a fotografare la sera, nel fitto delle foresta dove si fanno parecchi incontri inaspettati, le innocue lucciole, i serpenti, le scimmie, i pappagalli, le tarantole, gli iguana... Per chi ne avesse perso la memoria, passeggiando nella foresta nebulosa del Costa Rica ti volano sulla testa colibrì viola e verdi, ogni tipo di grosse e piccole farfalle maculate, blu o gialle, occhi in alto per pappagalli ara ed aquile, più raro, nella foresta nebulosa oltre i mille metri vive il famoso Quetzal rosso e turchese. Andando verso sud, tra i fiumi fangosi si fermano a decine al sole i coccodrilli, e nella selva tra foce e mare del parco Corcovado, il grosso tapiro, riposa fuori dalla palude tra aironi e scimmie urlatrici. Simpatico e indolente, non meno del bradipo, solo le guide più ostinate ne scovano odore e tracce. Ne restano solo poche centinaia al mondo. Inutile illudersi: L’ oceano Pacifico, si calma solo d rado e poche ore al giorno. Di solito ruggisce come uno schianto, la marea si alza ogni sei ore, il vento e la corrente indicibile giocano a formare onde oceaniche di parecchi metri, che mescolano tutto in una cascata marrone che sbatte sulle spiagge nere che qui sono rigorosamente libere da lidi ed ombrelloni e larghe come autostrade. La natura dalla terra, ai vulcani al mare si percepisce come un’ entità sovrastante: non a caso il motto -saluto dei Costaricensi, semplici e cordiali, non è il nostro laconico “in bocca al lupo” o salve, bensì Pura Vida. Un inno alla nostra più ancestrale origine di esseri viventi, un tempo in grado di vivere in armonia con la natura. Così almeno era per gli Indios che ancora oggi vivono nell’ inviolata ed immensa foresta pluviale al confine tra Panama e Costa Rica. Ne restano in tutto 60.000 divisi in otto tribù, quasi tutti nella foresta centrale del paese, a Talamanca. A Panama, si sono rifugiati dopo le persecuzioni degli europei nel fitto del Parco Darien. Visitare il museo dell’ Oro Precolombino nel centro della capitale del Costa Rica, San Josè, nella bella e pulitissima Plaza della Cultura dal sapore coloniale, serve a capire la storia di questa giovane democrazia che si affaccia al futuro come santuario del turismo ecosostenibile, con un primato: un territorio nazionale protetto per quasi il 28 per cento, l’ acqua potabile che arriva in tutte le case ed una cultura della sostenibilità ambientale che si traduce in un turismo organizzato ed ecocompatibile, da fare invidia all’ occidente. Eccole le quattro R messe in pratica. Riusare, riciclare, recuperare le risorse, oltre che ridurre i consumi, in Costa Rica non sono affatto uno slogan, ma una pratica quotidiana. Se nessuno sporca e distrugge, tutto si mantiene. Nello sforzo comune. Dal più piccolo resort ai grandi centri commerciali. Arriviamo a Drake Bay, nella penisola di Osa, dal nome di un cacique Indios, in auto attraversando chilometri su chilometri di palmeti che, sin dalle origini, producono il frutto rosso per ricavare olio e fibra. Le multinazionali americane invadono da anni ormai il mercato mondiale con l’ olio che di certo, contribuisce al sovrappeso di molte donne del centro America. A Sierpe, un imbarcadero ci accoglie con ristoro ed informazioni. Le barche con potenti motori 300 cavalli sono allineate lungo il fiume, un paradiso di mangrovie e ficus fioriti dai profumi più che intensi, che qui ai Caraibi danno quasi assuefazione. Partiamo per Drake senza sapere cosa ci aspetta: oltre 30 passeggeri perfettamente stipati con bagagli di ogni tipo lanciati a velocità nel dedalo d’acqua del delta del fiume, sino ad arrivare in oceano, per cavalcare l’ onda ed il reef con disinvolti colpi di motore. Non esistono i pontili, a terra ci porta la risacca, a forza i marinai tengono la barca sbattuta dall’ onda mentre scendiamo increduli con l’ acqua alle ginocchia in un concitato passamano di bagagli sulle nostre teste. Il diving resort di Drake, Jinetes de Osa, tutto legno mimetizzato tra il verde tropicale, è molto ben organizzato. Stessa barca in vetroresina, grosso motore e attrezzatura nuovissima: si parte cavalcando le onde per l’ isla Cano, a 45 minuti a vista dalla Baia, alle sette del mattino. Prima immersione alle 8 in un’ acqua finalmente cristallina, sotto di noi le prime spotted ray ed una moltitudine di pesci. Forse i punti d’ immersione più belli resteranno il Diablo ed il Garden. Si scende in acqua libera a veti metri tra formazioni e canyon neri ricoperti di spugne rosa amaranto, coralli tabulari gialli e gorgonie dal verde al viola. Pochi minuti per capire che la corrente è ingestibile, inutile pinnare contro, meglio salire sull’ altalena e sfruttare l’ onda buona per avanzare. Sotto di noi si concentrano molti squali di piccola e media dimensione, white phin tale, grossi tonni e carangidi di 6, 8 chili ci passano accanto, barracuda in cerchio ci danzano in alto, e sotto uno sperone dorme una grande tartaruga dalla testa gialla e rugosa. Che non è interessata a noi subacquei che le arriviamo ad un palmo dalla bocca. Le guide ci assicurano che l’ Isla Coco, a più di un giorno di navigazione veloce da qui, è ancora più ricca di specie, incluso lo squalo martello e balena, ma questo spettacolo che vediamo ci sembra già più dell’ immaginabile, per noi subacquei mediterranei. In mare non c’è un millimetro di plastica, al fondo di rado un’ ancora o un resto di metallo ricoperto dalle alghe. Un’ ora di riposo sulla spiaggia nera della riserva marina, doccia e volendo riparo all’ ombra nella sede del parco, e siamo pronti per il secondo tuffo alle 10. Frutta e biscotti, succhi freschi sono rapidamente serviti dal personale preparatissimo che mette tutta l’ attrezzatura al suo posto come per incanto. L’ isola fa parte del Corcovado per la gestione, un tempo la si poteva visitare sui sentieri interni, oggi è una stazione di biologia marina e conserva un sito archeologico con le misteriose sfere di granito che gli Indios utilizzavano nelle cerimonie funerarie. Qui non si lascia e non si prende nulla da terra, solo le proprie orme sulla sabbia, come recita il cartello di benvenuto ai visitatori che con fatica giungono in questo paradiso sperduto, e con grande gioia se ne vanno, sicuri che così sarà preservato per i secoli a venire.

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